Home EDITORIALI Ancora a discutere e legiferare di riforma del premierato? Anche no!

Ancora a discutere e legiferare di riforma del premierato? Anche no!

Questa volta, Giorgia Meloni sedendosi al tavolo del Risiko politico rischia molto. La riforma del premierato, il disegno di legge di riforma costituzionale studiato dalla ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Casellati, in Italia si è già schiantata tre volte.

Questa volta, Giorgia Meloni, sedendosi al tavolo del Risiko politico, rischia molto. La riforma del premierato è il disegno di legge di riforma costituzionale studiato dalla ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Casellati. Riforma che in Italia si è già schiantata tre volte. Bocciata dai cittadini nel referendum del 1997 voluto da D’Alema. Poi in quello del 2006 frutto del progetto di Silvio Berlusconi. E, ancora, nel referendum del 2016, cavallo di battaglia di Matteo Renzi, che gli costò le dimissioni da presidente del Consiglio. La Meloni si giocherà il tutto per tutto per evitare un’altra chiamata alle urne. Il percorso è accidentato e insidioso.

Il testo del Ddl sarà in Cdm venerdì 3 novembre 2023. Poi dovrebbe iniziare l’iter in Parlamento con i 4 passaggi tra Camera e Senato. In un primo tempo, in campagna elettorale, il centrodestra pensava all’elezione diretta del presidente della Repubblica. Poi c’è stato il cambio di rotta. “Il premierato potrebbe essere un’opzione più gradita alla maggioranza delle forze parlamentari”, dice il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.

La riflessione di Volpi sul premierato

Il costituzionalista Mauro Volpi (professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia) ha analizzato il il termine premierato. Secondo lui potrebbe portare a “un sistema in cui il presidente del Consiglio ha più poteri rispetto al nostro, per esempio quello di revocare i ministri”. D’altra parte, si potrebbe considerare “un sistema in cui il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dal popolo, annullando la necessità di un rapporto di fiducia parlamentare”.

Il premierato diverge dal presidenzialismo, dove si elegge direttamente il presidente della Repubblica, dotato di una maggiore concentrazione di poteri. C’è il modello americano e quello francese, dove si parla di semipresidenzialismo.

Il disegno di legge del governo Meloni prevede che il capo del governo venga eletto dai cittadini in un unico turno, per 5 anni, con una scheda unica. Viene previsto anche un sistema elettorale maggioritario con un premio del 55%, assegnato su base nazionale. Al capo dello Stato non spetterebbe più il potere di nomina del premier ma quello di dare l’incarico al premier eletto, mentre manterrebbe il potere di nomina dei ministri. C’è la norma “anti ribaltone”: nel caso in cui il premier si dimetta o decada dal suo ruolo, il presidente della Repubblica può assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare eletto e collegato al presidente del Consiglio.

Il pensieri di Giuliano Amato

“Sono favorevole al rafforzamento del premier, ho sempre pensato che il sistema tedesco fosse il migliore”. Sono le parole di Giuliano Amato, ospite di Giovanna Pancheri su SkyTG24. “La soluzione raggiunta durante i governi di Berlusconi, dove le coalizioni indicavano chi avrebbero presentato come premier, era ottima. L’elezione diretta del premier rischia di far perdere l’autorevolezza del capo dello Stato. Una figura di garanzia e non politica, e priverebbe gli italiani di una figura alla quale sono affezionati, non so quanto lo apprezzerebbero. Ci potrebbe essere un referendum confermativo e la storia dice che queste riforme poi non hanno avuto una grande fortuna alle urne. “Se l’investitura del primo ministro la dà il corpo elettorale, una fetta grossa del potere del Parlamento va al corpo elettorale.

La Costituzione

In questo modo, però, la riforma non risolve i problemi. Anche se è vero che, quando venne promulgata la Costituzione, venne accusata poco dopo di aver dato pochi poteri al governo. Questo era vero perché chi ci aveva lavorato, sia la Democrazia Cristiana sia le sinistre, ci erano andate leggere per timore che governassero gli altri. E perché c’era la memoria storica di cosa era successo pochi anni prima. Sono state distorte alcune prerogative, come per esempio il decreto-legge, che da fonte straordinaria è diventata fonte quotidiana, oppure il maxiemendamento, che hanno fortemente rafforzato il governo. Come sottolinea la presidente del Consiglio, è importante avere stabilità ed equilibrio istituzionale ma il vero problema risulta essere l’instabilità delle fondamenta del sistema politico, con elettori che non hanno più identità collettive forti. «Il sistema tedesco è proporzionale fino a un certo punto, visto che ci sono i collegi maggioritari: anche lì si cominciano in parte a notare le friabilità delle identità politiche».

Massimo Villone

Massimo Villone, professore emerito di diritto Costituzionale all’Università Federico II di Napoli e presidente del coordinamento per la democrazia costituzionale, si siede al tavolo del Risiko opposto al centro-destra: «Eravamo in campo nel 2016 contro il referendum della riforma di Renzi e penso proprio che saremo in campo anche oggi per fermare Meloni, siamo pronti. Non si tratta di essere contrari pregiudizialmente, ma quella di Meloni è una riforma pessima. Bisogna prepararsi da subito a questa sfida, ci sarà una grande battaglia referendaria da fare, anche perché la maggioranza non può fare passi indietro: si è spesa troppo sulle riforme, sono il suo senso di esistere».

Come la pensiamo noi di Dillinger? Una riforma costituzionale spinta tanto dalle sinistre quanto dalle destre, vedasi D’Alema e Meloni, bocciata tre volte, ci pare una perdita di tempo e puzza di bruciato. In gioco non c’è altro che il potere, ben poco gli interessi degli italiani, che infatti l’hanno già cassata più volte.

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