Home EDITORIALI Fratelli d’Italia & Co., piantiamola con i bavagli al giornalismo d’inchiesta

Fratelli d’Italia & Co., piantiamola con i bavagli al giornalismo d’inchiesta

Report, faro delle inchieste giornalistiche tv fondato da Milena Gabanelli, è di nuovo sotto tiro. Sono i parlamentari di Fratelli d’Italia a scegliere il giornalista Sigfrido Ranucci, “erede” della Gabanelli, come bersaglio.

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Report, faro delle inchieste giornalistiche tv, fondato da Milena Gabanelli, è di nuovo sotto tiro. Sono i parlamentari di Fratelli d’Italia a scegliere il giornalista Sigfrido Ranucci, “erede” della Gabanelli, come bersaglio, presentando un’interrogazione in commissione di Vigilanza per contestare le puntate sulla famiglia del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e sul padre della premier Giorgia Meloni. Chiedono l’intervento della presidente Marinella Soldi e dell’amministratore delegato Roberto Sergio. Un’azione, ovviamente, che auspicano possa mettere la mordacchia a Ranucci e alla sua redazione.

Il giornalismo d’inchiesta

A nostra memoria, non esiste inchiesta giornalistica che non sia stata accolta come “scomoda” dalle classi dirigenti di tutto il mondo. È passato alla storia lo scandalo Watergate, con l’allora presidente degli Usa Richard Nixon deciso a mobilitare tutte le risorse in suo possesso per boicottare i due giornalisti del Washington Post autori dell’inchiesta. In Italia abbiamo una lunga tradizione di giornalismo d’inchiesta e una altrettanto lunga lista di brillantissimi giornalisti, da Enzo Biagi a Ferruccio De Bortoli, fino a Gad Lerner e Marco Travaglio. Purtroppo, è impressione di molti che questo tipo di giornalismo investigativo abbia perso terreno sulla carta stampata. Mentre conta su eccellenze in tv, come lo stesso Goffredo Ranucci, lo scomparso Andrea Purgatori, Riccardo Jacono e Lilli Gruber.

Il casus belli

Report ha mandato in onda il 14 gennaio l’inchiesta “Mafia a tre teste”, raccogliendo la testimonianza del pentito di camorra Nunzio Perrella e la sua versione di un presunto legame tra il padre di Giorgia Meloni e il boss camorrista Michele Senese. Questo è il primo capo d’accusa, secondo FdI. Poi c’è l’immancabile, diciamolo, Ignazio La Russa e il servizio “La Russa Dinasty” dell’8 ottobre: in questo caso la testimonianza è dell’ex colonnello dei Carabinieri Michele Riccio. Il militare sostiene di aver saputo da un informatore che Cosa Nostra, nel 1994, aveva chiesto di votare per Antonino e Vincenzo La Russa.

Le accuse mosse a Report

Sul comunicato di FdI si legge: “Abbiamo presentato un’interrogazione all’Ad Roberto Sergio e alla Presidente Marinella Soldi per sapere se l’utilizzo ricorrente di testimoni giudicati inattendibili dalla magistratura, che dopo qualche decennio fanno rivelazioni circa presunte rivelazioni su persone decedute, sia in linea con quanto stabilito dal Contratto di Servizio, che regola i rapporti tra lo Stato e la Rai. Per di più si sceglie di non dare conto al pubblico dell’inattendibilità dei testimoni intervistati, forse perché altrimenti verrebbe giù tutto l’impianto del teorema messo in piedi. Con quello che sembra a tutti gli effetti un ’metodo’, stiamo assistendo al progressivo degradamento di una storica trasmissione, un tempo capace di fare delle vere e proprie inchieste, e oggi ridotta a costruire teoremi fini a se stessi, utili solo a spargere fango”.

Le difese

Sandro Ruotolo, responsabile informazione del Partito Democratico, fa da scudo a Ranucci: «Dare sempre le notizie anche quando sono scomode, perché i cittadini hanno il diritto di essere informati. È la regola del giornalismo che una politica sana dovrebbe rispettare. E invece il partito della Presidente del Consiglio attacca ancora una volta una trasmissione d’inchiesta». La segretaria del suo partito Elly Schlein non usa mezze misure: «Meloni ha superato Berlusconi: questi attacchi al diritto di inchiesta, nemmeno con gli editti bulgari. Bisogna inventare altri tipi di editti, non so se editti ungheresi. Sono attacchi non degni di una democrazia. Solidarietà a Report». Intervistato dal Corriere, Sigfrido Ranucci evoca un principio giornalistico basilare con poche parole: «Una notizia o è vera o è falsa. Non ci sono questioni di opportunità politica da considerare. Le notizie non hanno colore, né seguono ragioni di opportunità. Sono notizie o non lo sono».

I paletti della Corte di Cassazione sul giornalismo d’inchiesta

Con l’ordinanza n. 30522, depositata il 3 novembre 2023, la Corte di Cassazione richiama l’articolo 21 della Costituzione, che tutela la libertà di espressione, riconoscendo il “ruolo civile e utile alla vita democratica del giornalismo investigativo”. Il suo valore è la capacità di stimolo della collettività: gli esiti non vanno valutati tanto “alla luce dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto dell’avvenuto rispetto da parte del suo autore dei doveri deontologici di lealtà e buona fede”.

“L’attenuazione del canone di verità”, prosegue la Cassazione, “si giustifica alla luce del principio costituzionale in materia di diritto alla libera manifestazione del pensiero, quando detto giornalismo indichi motivatamente un ‘sospetto di illeciti’ con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi amministrativi o normativi per potere essere chiarite, sempre che riguardino temi sociali di interesse generale, alla condizione che ‘il sospetto e la denuncia’ siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti; infatti, nel giornalismo d’inchiesta il sospetto deve mantenere il proprio carattere ‘propulsivo e induttivo di approfondimento’, essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero”.

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