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Il Far West dei senzatetto a Milano

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Nella capitale del Made in Italy e delle sfilate d’alta moda ormai è scattata l’emergenza clochard. Il comune di Milano e la Fondazione Rodolfo Debenedetti, con l’aiuto di 700 volontari, ha condotto una ricerca sul tema. Trovando oltre 2mila barbùn, come vengono chiamati in dialetto meneghino.

Nel centro storico e alla stazione

Questi disperati stretti dalla morsa del freddo e della fame sono 15 su mille abitanti del capoluogo lombardo. Si accampano dove possono con le loro “grosse buste di plastica del peso totale del cuore, piene di spazzatura e di silenzio, piene di freddo e rumore”, come canta Francesco De Gregori nel suo brano I matti. Se ne trovano il 39 per cento nel centro storico e il 18 per cento nell’area della Stazione Centrale.

Sono soprattutto uomini

I clochard in città sono al 90 per cento uomini e in larga percentuale sopra i 35 anni di età. Oltre la metà di loro cerca di intercettare almeno ogni settimana un’unità mobile delle varie organizzazioni che si mobilitano per dare un aiuto, dai pasti caldi alle coperte. Curiosamente, tra i senzatetto intervistati il 46 per cento esprime il desiderio di avere accesso a una connessione internet (della serie i clochard 2.0…).

All’addiaccio e derubati

Secondo la Fondazione Rodolfo Debenedetti, «avere a disposizione dati di questo tipo è un passo fondamentale per ragionare in modo informato sul fenomeno dell’assenza di dimora, con l’obiettivo di rendere questa condizione un’eventualità sempre più rara e di breve durata». Si spera, perché le condizioni di questa povera gente stanno peggiorando. In una inquietante guerra tra poveri, si derubano tra di loro. Il Corriere Milano ha raccolto lo sfogo di una coppia di senzatetto: ««Io ho 45 anni e lui, il mio uomo, 52.

Prosegue la Fondazione: «Siamo italiani, il che è un casino: loro, gli africani, credono di essere gli unici a poter dormire per terra, provano a rubarti di tutto mentre dormi, infatti le cose preziose, tipo i centesimi e gli assorbenti, me le porto con me nel sacco a pelo. Veniamo dal Veneto, capita che ci torno per lavorare come donna delle pulizie, 6 euro l’ora, in nero, ovvio, ma chi se ne frega, non è una questione importante. Niente casa, con la pandemia e i mesi dopo sono successe un po’ di cose, intanto il mio uomo ha perso il lavoro, stava in una caffetteria importante ma il capo aveva, o avrà ancora, cavoli suoi, il vizio della cocaina, si è riempito di debiti, gli hanno portato via il locale, e i dipendenti sono stati spediti a casa. Il mio uomo stava nella casa della mamma, qui a Milano, una bella casa, ma sua madre non ne vuole sapere di avercelo intorno, l’ha cacciato anche lei».

La rete di solidarietà

Milano offre ai barbùn una rete di assistenz. Che in parte è organizzata da enti nazionali (la Croce Rossa, per esempio), ma anche da Onlus locali. Come i City Angels, nati all’ombra del Duomo ramificatisi in altre 21 città. Oltre alla Fondazione Arca, la comunità di Sant’Egidio e la Mia Milano in azione. Tutte realtà che hanno bisogno anche del nostro aiuto.

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