C’è un Mediterraneo che non si arrende. Si chiama Global Sumud Flotilla, ed è un’iniziativa internazionale che riunisce attivisti, associazioni e semplici cittadini con un obiettivo chiaro: rompere l’assedio, garantire aiuti umanitari e riaffermare che il diritto alla vita e alla dignità non possono essere sequestrati da nessun confine militare. Sumud significa “resistenza”, e in queste barche c’è il senso più radicale e pacifico di quella parola: persone che scelgono di salpare, con coraggio e con trasparenza, per testimoniare che la pace non si costruisce con i bombardamenti, ma con la solidarietà.
Non è un caso che da Genova – porto e città che ha scritto pagine di lotta collettiva e di dignità operaia – arrivi il segnale più netto. Riccardo Rudino, del Collettivo Autonomo dei Portuali, ha dichiarato senza mezzi termini:
“Se perdiamo il contatto con le nostre compagne, noi blocchiamo tutta l’Europa. Da questa regione non uscirà neanche più un chiodo per Israele.”
Parole che pesano come macigni, che raccontano la forza di una classe lavoratrice capace di trasformare i moli in trincee di giustizia.
Da Tel Aviv, poche ore fa, la risposta è stata brutale: un comunicato che annuncia che i partecipanti alla Flotilla “verranno trattati come terroristi”. Un lessico di guerra che rovescia la realtà: chi porta aiuti viene criminalizzato, mentre la violenza istituzionale resta legittimata.
La replica non si è fatta attendere. Maria Elena Delia, portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, ha ribadito:
“Non ci fermiamo e non ci facciamo intimorire, sappiamo di muoverci nella totale legalità.”
E ha chiesto un intervento immediato del Governo italiano. Non per calcoli diplomatici, ma per coerenza con i principi di diritto internazionale e di umanità.
Qui si gioca molto più di un braccio di ferro tra stati e attivisti: si decide se l’Europa resterà muta spettatrice della barbarie o se avrà il coraggio di sostenere un’azione civile che rappresenta l’unica via reale per la pace.
Noi siamo con chi naviga, con chi rischia, con chi mette il corpo tra la guerra e l’umanità. Ora tocca ai nostri governanti: prendere parola, far pesare la voce dell’Italia in Europa, dire chiaramente da che parte stanno.
Perché Genova non parla solo per sé stessa: Genova è un esempio che deve valere per tutti noi, una città che ricorda all’Italia e all’Europa che la dignità non si delega e la pace non si rimanda.