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Il governo dà il via al Ponte sullo Stretto. Via libera al progetto definitivo: tre chilometri di infrastruttura simbolica in un Paese che non riesce a far partire un regionale in orario.

Treni fermi, aeroporti in tilt, scioperi a raffica. Il 2025 è l’anno nero dei trasporti italiani: Frecciarossa che diventano lumache, Intercity che sembrano regionali presi in ostaggio dalla nostalgia sovietica, carrozze bollenti e annunci incomprensibili.

Mentre il Paese annaspa su binari che sembrano trappole a cielo aperto… arriva lui. Con il caschetto da cantiere calato sulla propaganda, il sorriso da rendering elettorale e la voce impostata come un comizio del ’98. Poi, il colpo di scena. Il ponte si farà. Due righe, un titolo, una promessa che torna a galla ogni volta che la realtà va a picco: “AL VIA IL PONTE SULLO STRETTO.” Firmato: Matteo Salvini.

Dopo decenni di stop, ricorsi, plastici da talk show e powerpoint elettorali, il progetto ha ricevuto il disco verde dal Cipess. Si parte. Sul serio. O almeno così dicono: cantieri previsti in autunno, inaugurazione stimata tra sette o otto anni, un’eternità politica — ma perfetta per sventolare una bandiera.

Sarà, secondo il ministro, “il ponte a campata unica più lungo del mondo”. Tre chilometri e rotti di titanio e narrazione. Due piloni alti 400 metri, sei corsie, due binari ferroviari e perfino una metropolitana dello Stretto. Sì, una metro. Tra Scilla e Cariddi. Per 400.000 persone, dicono.

Siamo nel 2025 e non c’è ancora un treno che parta puntuale da Milano e arrivi intero a Reggio Calabria, ma ci promettono di volare sopra il mare con un’opera faraonica dal costo spropositato. In conferenza stampa, il fioretto finale: “Con il Ponte si passerà da un’ora e venti di attraversamento a quindici minuti.”

E poi si aggiunge l’ipotesi tariffaria: meno di 10 euro per le auto, “molto meno” degli attuali costi, assicurano. Peccato che — fa notare il Codacons — rispetto alle altre tratte autostradali, sarebbe comunque un rincaro del 3.540%.

E poi, come in un déjà-vu a bassa risoluzione, spunta l’ologramma del Cavaliere. In queste ore, sui social, gira un video rilanciato da Marta Fascina: Silvio Berlusconi che illustra, passo dopo passo, il progetto del Ponte. Con la sua voce pacata e ipnotica, elenca benefici, visioni, chilometri e miracoli promessi.

A questo punto la domanda è una sola: possibile che questi politici abbiano ancora bisogno della voce di Silvio per provare a esaltare il Paese?

Possibile che, nel 2025, il massimo della retorica sia un videino d’archivio, mentre fuori la gente si scanna per un posto in carrozza, e i treni hanno la puntualità di un ubriaco in bicicletta?

Quando la buonanima era ancora in vita, non c’erano tutte le guerre di oggi, la crisi dei salari non era ancora esplosa, e il Paese sembrava in bilico, sì, ma ancora aggrappato a un sogno collettivo, con qualche speranza in più.

Oggi, invece, resta solo il fumo. E il Ponte sullo Stretto non è più un simbolo di modernità. È una reliquia elettorale riesumata ad ogni tornata, tra rendering patinati, mitologia delle grandi opere e tensioni tra promesse e realtà. Poveri calabresi, poveri siciliani, che vivono attigui ai piloni, che dovranno convivere con cantieri infiniti, espropri e cambi di vita imposti. Da Villa San Giovanni, la sindaca lancia l’allarme: “così è a rischio la sopravvivenza della città.” Ma tutto questo non conta, quando la propaganda vale più del benessere. Quando la realtà è solo una scenografia da tenere sullo sfondo, mentre si gira lo spot.

Lo vediamo già a Milano: una città che ha sacrificato l’identità al marketing urbano, che ha sostituito le edicole con banchetti gourmet, e che chiama “futuro” l’affitto a 1.800 euro per 40 metri quadri. Speriamo di non vedere lo stesso film, con un altro accento e altre vittime, in quella terra meravigliosa che è la Sicilia. Il Ponte sullo Stretto non è un sogno. È un’ossessione da Prima Repubblica riciclata peggio. È l’ennesimo grande annuncio per chi non ha più nemmeno una piccola certezza.

Nel frattempo, i treni restano fermi. I cittadini pure. E l’unico ponte che servirebbe davvero è quello tra propaganda e realtà. Ma per quello, purtroppo, serve carisma. E visione.

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