Finalmente.
Una notizia che non profuma di repressione, ma di intelligenza.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha acceso una miccia virtuosa: oltre 10.000 detenuti italiani potrebbero presto uscire dalle celle per accedere a misure alternative. Non per grazia divina, ma per legge. Non per buonismo, ma per buon senso.
Parliamo di uomini e donne con pene residue inferiori a 24 mesi, fuori dall’ambito dei reati ostativi, che da almeno un anno non hanno avuto comportamenti disciplinari gravi. Tradotto: persone che possono (e devono) essere reinserite nella società, non lasciate a marcire dentro mura che servono più alla vendetta che alla giustizia.
Per questo il ministero ha attivato una task force nazionale, già al lavoro con la magistratura di sorveglianza e i direttori delle carceri, per analizzare caso per caso e trovare soluzioni entro settembre. Il tempo della teoria è finito: ora si passa all’azione.
Perché è una scelta giusta?
Perché punire non significa sprecare.
Perché il carcere – lo dice la Costituzione, non i radical chic – dovrebbe rieducare, non distruggere.
Perché il sistema penitenziario è al collasso: sovraffollamento, suicidi, personale logorato, costi insostenibili. E perché esistono alternative che funzionano: affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità.
Uscire dal carcere, per chi ha già pagato parte del proprio debito e non rappresenta un pericolo, non è un premio: è una possibilità di restituire qualcosa alla collettività. È un investimento nel cambiamento, nella sicurezza vera, quella che nasce dal reinserimento e non dalla segregazione perpetua.
La politica che osa
In un Paese in cui “buttare la chiave” fa ancora facile consenso, scegliere la giustizia vera richiede coraggio.
E questa iniziativa ne ha.
Non grida, non spacca, non fa propaganda. Lavora, ascolta, media.
Un passo piccolo, ma concreto, verso un’Italia che non tratta le persone come numeri da chiudere in cella, ma come cittadini da recuperare.
Perché nessuna sicurezza è possibile se non si passa per la dignità. E questa, finalmente, è una buona notizia.