Nel 2025, un Comune può ancora permettersi di rispondere alle segnalazioni con un fax? No. Eppure, fino a ieri, sembrava quasi una scelta stilistica. Oggi, con la legittimazione ufficiale del social media manager nella Pubblica Amministrazione, si apre una stagione nuova — meno modulistica, più connessione.
Ma attenzione: non si tratta solo di programmare post o usare bene Canva. Il social media manager nella PA non è un tecnico, né un pubblicitario mascherato. È un ponte. Un presidio strategico tra la cittadinanza e la burocrazia. E se il ponte crolla — lo abbiamo visto — la fiducia si sgretola.
Ecco perché questa figura è cruciale:
- Trasparenza amministrativa: rendere visibili scelte, bandi, delibere. Prima che diventino “bufale da WhatsApp”.
- Inclusione digitale: portare i servizi dove la gente già vive: online.
- Partecipazione attiva: ascoltare i cittadini, non solo parlargli sopra.
- Gestione d’urgenza: alluvioni, blackout, allerte: i social salvano minuti. E a volte vite.
- Contro la disinformazione: dove la verità arriva tardi, la menzogna prende like.
Secondo AGCOM, oltre il 70% degli italiani si informa tramite social. Se la PA resta muta o impacciata, sarà qualcun altro a raccontare la sua storia. Male, spesso. E a nome suo.
Insomma: serviva una legge per capirlo, ma ora è scritto nero su bianco. La comunicazione pubblica non è più un orpello: è servizio essenziale. E il social media manager, il suo primo operatore.
Sì, è tutto vero. Con la conversione in legge del decreto PA (legge 69/2025), arriva il riconoscimento ufficiale: il social media manager non è più il cugino giovane a cui “piace smanettare con Facebook”, ma una figura professionale da integrare nei Comuni, nelle Regioni, nelle Asl. Tra un piano neve e un bando per rifare i marciapiedi, ora ci sarà anche chi si occupa di engagement.
Dalla sagra della porchetta a LinkedIn
Il testo normativo parla chiaro: assunzioni o riconoscimento tra il personale già in servizio. Tradotto: o si trova qualcuno in grado di postare senza usare WordArt, oppure si assume gente vera, magari persino con esperienza. Qualcuno che sappia spiegare il PNRR su TikTok o rispondere ai commenti indignati tipo “Vergogna! E le buche?”.
Il social media manager di oggi è il nuovo Carabiniere di quartiere: presidia il territorio, intercetta il malumore, cerca di spegnerlo con un meme. Il suo scopo? Evitare che l’account del Comune finisca nella rubrica “figuracce istituzionali” di Twitter (pardon, X). E magari farsi prendere sul serio mentre condivide un carosello su “come fare la carta d’identità online”.
Responsabilità? Like o querela.
Attenzione però, perché con i poteri arrivano anche le responsabilità. I nuovi professionisti della comunicazione pubblica saranno chiamati a gestire crisi istituzionali, figuracce da comunicati stampa e commenti tipo “Mio cuggino ha detto che il 5G lo avete messo nei tombini”. Se sbagli un post, non è più solo figuraccia: può essere colpa grave.
Per questo, l’Associazione nazionale social media manager (Ansmm) ha firmato una convenzione con Lokky per assicurazioni professionali. Tipo casco obbligatorio per chi entra nella giungla dei commenti.
La PA entra in rete. Con moderazione.
La vera sfida ora sarà culturale: spiegare al dirigente che “fare engagement” non significa dare il cinque ai follower, e che il commento ironico su Instagram non è disdicevole, ma strategico. Certo, restano dubbi: i Comuni useranno Canva o ancora Publisher? Il codice Ateco arriverà prima o dopo la fine dell’era digitale?
Una cosa è certa: la PA vuole diventare virale. E per farlo ha appena aperto il suo primo profilo… con l’autenticazione SPID.