“Mia figlia su quella barca doveva solo parlare inglese. Fare da traduttrice, non certo manovrare un catamarano. E invece l’hanno mandata senza salvagente, da sola con lo skipper, a fare una manovra che si affida a chi ha decenni di esperienza. Voglio la verità”. Umberto Chiti è il padre di Anna, la 17enne morta sabato a Venezia nel primo giorno di lavoro a bordo del Calita, un catamarano affittato per una festa in laguna.
L’incidente
Secondo la ricostruzione degli investigatori, Anna è finita in acqua durante l’ormeggio: teneva in mano una cima, che si è impigliata nelle eliche ancora in movimento. Il contatto con le pale l’ha uccisa sul colpo. Inutile l’intervento dei vigili del fuoco. Il dramma è avvenuto a pochi metri dalla banchina, sotto gli occhi dello skipper.
Forse Anna era solo in prova
Sulla dinamica e sulle responsabilità ora indagano la Capitaneria di Porto e la procura di Venezia. In particolare, si cerca di capire se Anna fosse autorizzata a eseguire quella manovra e se fosse in possesso di un contratto. “Mi avevano detto che doveva solo fare accoglienza agli ospiti”, spiega il padre. “Forse era una giornata di prova. Ma una barca di 12 metri non può essere gestita da due persone”.
Ad oggi, come riferisce la Repubblica, non è ancora stato trovato alcun documento che certifichi l’assunzione. Il sospetto è che si trattasse di un impiego in nero, prassi diffusa tra studenti degli istituti nautici chiamati informalmente per lavoretti a bordo.
Anna era una studentessa brillante, appassionata di mare e di lingue. “Parlava anche russo e ucraino, come le origini della madre”, racconta il padre. “Era una nuotatrice esperta, sognava di diventare comandante, lavorare sulle navi da crociera o offshore. Vederla sul tavolo dell’obitorio mi ha spezzato il cuore”. Martedì avrebbe compiuto 18 anni. Voleva festeggiare con gli amici. Ora la famiglia chiede solo giustizia.