“Secondo me la cosa più bella che potrebbe accadere è questa: che la Schlein telefona alla Meloni: ‘Giorgia, sono Elly. Non potremmo vederci mezz’ora con Giorgetti e parlare un attimo del cinema italiano?'”. Pupi Avati non si nasconde dietro giri di parole e trasforma la platea dei David di Donatello in un appello pubblico alla politica italiana. Mentre riceve il premio alla carriera, lancia il suo “sogno opportuno e auspicabile”, un’immagine surreale quanto simbolica: un invito a smettere di ignorare il cinema italiano, quello vero, fatto di fatiche quotidiane, e a ricominciare a parlarne, insieme.
Lo sfottò di Pupi Avati
Proprio di fronte a lui c’è Lucia Borgonzoni, sottosegretaria alla Cultura. Ed è a lei che Avati si rivolge con una frecciatina che sa di ironia tagliente: “Posso dire un’ultima cosa che riguarda la senatrice Borgonzoni, che è andata via? Ah no, è lì. Perché non sei andata via?”. Ride il pubblico, meno la diretta interessata.
Poi il tono si fa più serio, più accorato: “La cosa del Cinema Revolution è carina, però noi abbiamo bisogno di qualcosina di più. Vedere il David come è oggi è una cosa meravigliosa, però voglio dire una cosa a Lucia. [Il David] non assomiglia al cinema italiano, purtroppo. Qui c’è opulenza. Nel cinema italiano ci sono le società, soprattutto quelle piccole e indipendenti, che stanno facendo una fatica pazzesca”.
L’applauso è spontaneo, sincero. Tutti si alzano, tranne Borgonzoni. E allora Avati affonda: “Devi applaudire. Non applaudi? Applaudi”.
Un colpo di teatro? Forse. Ma anche il riflesso di un amore viscerale per il cinema italiano, quello che Avati non ha mai smesso di difendere. E stavolta lo fa da protagonista, con un microfono in mano e il coraggio di dire ad alta voce ciò che in molti pensano.