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Proviamo a spiegare cosa succede davvero con il referendum dell’8 e il 9 giugno. Come se lo raccontassimo alla nonna.

Questo pezzo usa parole semplici e frasi corte, perché leggendo i giornali o scorrendo i post sui social non si capisce niente. Una confusione continua: titoli gridati, paroloni giuridici, opinioni che si spacciano per fatti. E viene il dubbio che questa distrazione non sia del tutto casuale. Che magari, nel caos, qualcuno speri che tu non vada proprio a votare. E invece no. Qui proviamo a spiegare cosa succede davvero l’8 e il 9 giugno. Come se lo raccontassimo alla nonna. Con rispetto, ma senza giri di parole.

Nonna, l’8 e il 9 giugno non si vota per eleggere nessuno. Niente sindaci, niente presidenti, niente figurine nuove da attaccare al Parlamento. Si vota per dire se alcune leggi devono restare com’erano o se è il caso di cancellarle e tornare a come si stava prima. Si chiamano referendum abrogativi. Vuol dire che se vincono i “Sì”, certe regole vanno a farsi benedire.

I quesiti sono cinque. Te li spiego come se stessimo preparando il sugo, piano piano.

Il primo riguarda i licenziamenti. Ti ricordi quando, se ti mandavano via dal lavoro senza motivo, potevi farti valere e tornare al tuo posto? Poi è arrivata una legge nuova, il Jobs Act, che ha tolto questa possibilità a tanti lavoratori. Con questo referendum si chiede di tornare indietro, cioè ridare ai giudici la possibilità di dire: “No, tu quel posto te lo riprendi”.

Il secondo riguarda le piccole imprese, quelle con pochi dipendenti, come il laboratorio del calzolaio o la lavanderia sotto casa. Oggi, se uno viene licenziato senza motivo, al massimo prende sei mesi di stipendio come risarcimento. Punto. Con il referendum si vuole togliere questo limite e lasciare che sia il giudice a decidere quanto vale davvero il torto subito. Non ti ridanno il lavoro, ma almeno ti trattano da persona e non da numero.

Il terzo parla dei contratti a termine. Oggi uno può essere assunto per un anno senza che l’azienda debba dire perché. E così si va avanti a rinnovi, proroghe, incastri strani, come una telenovela senza fine. Con il Sì, invece, l’azienda dovrà spiegare fin da subito perché ti sta assumendo a tempo. Tipo: “per sostituire Giovanna che è in maternità” oppure “perché tra tre mesi finisce la stagione turistica”. Insomma, si vuole un po’ di chiarezza.

Il quarto riguarda gli appalti. Se uno lavora in un cantiere e succede un infortunio grave, oggi chi ha commissionato il lavoro può dire “io non c’entro niente”. Con il referendum si torna a dire: se fai lavorare qualcuno, rispondi anche tu di quello che gli succede. Non puoi far finta di nulla solo perché hai firmato un contratto con qualcun altro.

Il quinto riguarda la cittadinanza. Oggi uno straniero che vive in Italia deve aspettare dieci anni prima di poter chiedere di diventare cittadino italiano. Dieci anni, nonna. Anche se lavora, paga le tasse, parla italiano, e magari canta l’inno meglio di noi. Con questo quesito si chiede di dimezzare l’attesa a cinque anni.

Per ogni quesito riceverai una scheda. Voti “Sì” se vuoi cambiare la legge, “No” se vuoi tenerla com’è. Ma c’è una cosa importante, nonna: se meno della metà degli italiani va a votare, tutto il referendum diventa carta straccia. Per questo anche chi resta a casa, in fondo, sta già scegliendo. Sta dicendo che le cose possono restare così.

Se eri all’estero, c’erano scadenze precise per votare per posta. Ma tu sei qui, come sempre, con la tua scheda elettorale nella scatola delle bollette. Domenica 8 e lunedì 9 giugno ti basterà andare al tuo solito seggio, portarti un documento.

Poi, se vuoi, torniamo a casa e ti spiego anche TikTok. Ma solo se prometti di votare.

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