Chi ha messo gli occhi sull’auto di Andrea Giambruno, e soprattutto perché? È questa la domanda che continua a restare senza risposta mentre la procura di Roma si avvia a chiudere senza colpevoli il fascicolo sull’episodio che, da mesi, alimenta sospetti e mezze verità attorno all’ex compagno della premier Giorgia Meloni. La vicenda della sua macchina “attenzionata” — come si dice in gergo — dai servizi segreti resta un intrigo senza colpevoli né reati contestabili. Ma qualcosa, nel frattempo, non torna. E non si è ancora detta l’ultima parola.
Tutti i sospetti su chi spiava Giambruno
I fatti risalgono alla notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2023. In via del tutto riservata, una poliziotta della scorta della presidente del Consiglio nota due persone che si aggirano con fare sospetto nei pressi dell’auto di Giambruno. Si avvicina. “Chi siete?” chiede. “Colleghi”, le rispondono i due, mostrandole un tesserino che però la donna non riesce a leggere. Poi si dileguano. Una scena veloce, troppo veloce. Quanto basta a far scattare un’indagine. Ma anche a far partire una serie di stranezze.
Come il racconto di un ricettatore, che giorni dopo si presenta dicendo di essere stato presente quella notte con l’intento, a suo dire, di rubare le gomme. Ma non sa dire chi fosse con lui. E la poliziotta, interrogata, non lo riconosce. Più che una testimonianza, un depistaggio? La procura prova a vederci chiaro ma si scontra con un vuoto investigativo difficile da colmare. Intanto, però, qualcosa emerge.
Secondo quanto ricostruito da La Stampa, da una serie di incroci e analisi condotte sulla base dei profili individuati vicino alla vettura sarebbero spuntati fuori due funzionari dell’Aisi, i servizi segreti interni. E proprio mentre l’inchiesta perdeva pezzi e direzione, un pezzo da novanta dell’antiterrorismo si sarebbe presentato in procura per farsi consegnare una copia degli atti. Cosa ci facevano, quella notte, due agenti dell’intelligence vicino all’auto dell’ex compagno della premier? E soprattutto: chi ha autorizzato quella presenza? Se, come sostiene il sottosegretario Alfredo Mantovano davanti al Copasir, “non c’erano 007 in quella via”, perché allora i due agenti sono stati identificati e trasferiti, uno in Tunisia e uno in Iraq, poco dopo?
Intanto, in pieno stile italiano, mentre l’inchiesta va verso l’archiviazione, le domande si moltiplicano. E tornano anche in Parlamento. I senatori Matteo Renzi e Ivan Scalfarotto di Italia Viva hanno annunciato una nuova interrogazione: vogliono sapere cosa stia davvero succedendo. Perché, se davvero c’erano due agenti dei servizi segreti ad aggirarsi vicino all’auto di Giambruno, l’ipotesi della “spy story” smette di sembrare un’invenzione da rotocalco. E inizia ad assomigliare a qualcosa di molto più concreto.
Quel che è certo è che i vertici dell’intelligence, nel frattempo, sono cambiati. I due agenti individuati non sono più operativi sul territorio nazionale. Ma nessuno ha mai chiarito — né smentito con prove — che quella sera si trattasse davvero solo di un equivoco o di un tentato furto. Il sospetto che qualcuno stesse seguendo Giambruno o volesse mandare un messaggio resta. E, ancora oggi, l’unica cosa chiara è che il caso non è affatto chiuso. Anche se la giustizia, almeno per ora, sembra pronta a voltarsi dall’altra parte.