Home CRONACA Trump vuole 20 miliardi da 60 Minutes: quando il giornalismo costa caro

Trump vuole 20 miliardi da 60 Minutes: quando il giornalismo costa caro

Altro giro, altro ceffone: dopo la ABC e il Washington Post (quello di Jeff Bezos, che ormai sembra più interessato ai favori della Casa Bianca che ai razzi spaziali), ora tocca alla CBS e al suo programma storico “60 Minutes” finire nel tritacarne trumpiano.

Donald, da sempre campione olimpico di guerra fredda con la stampa, avvia una bella causa da 20 miliardi di dollari contro la rete. Sei mesi fa sembrava il solito teatrino mediatico, ma ora prende forma come il solito attacco al diritto d’informare — mica con la censura, eh. No, con qualcosa di più elegante: quello che sembrerebbe un ricatto economico mascherato da legalese.

Il casus belli? Un’intervista a Kamala Harris trasmessa durante la campagna elettorale. Secondo Trump, la CBS avrebbe tagliato ad arte le risposte più impacciate della candidata democratica, confezionando così un assist per i suoi avversari. In pratica, un montaggio da VAR taroccato. Da qui la causa: Paramount, proprietaria della rete, viene accusata di “sabotaggio elettorale”. Altro che “diritto di cronaca”.

Gli avvocati della CBS, all’inizio, hanno fatto i duri: “È solo editing, bellezza. Si chiama televisione, non stenografia parlamentare”. Ma poi — sorpresa! — anche loro hanno imboccato la via della pace a pagamento, tipo “meglio un bonifico oggi che una vendetta presidenziale domani”. Il precedente c’era già: Disney aveva mollato 16 milioni per chiudere la grana ABC. Paramount, nel dubbio, sta seguendo l’esempio.

Shari Redstone, matriarca della Paramount e aspirante venditrice di mezzo impero cinematografico agli studios di SkyDance (affarino da 8 miliardi), ha tutto l’interesse a tenere buono Donald. E infatti preme perché “60 Minutes” diventi un po’ meno “giornalismo d’assalto” e un po’ più “centro massaggi dell’informazione”. Il risultato? Il produttore esecutivo Bill Owens ha fatto le valigie e il conduttore Scott Pelley è andato in onda domenica con la bava alla bocca: “Ci stanno zittendo per fare affari”.

Ma Trump non si accontenta di vincere. Vuole umiliare. Così, prima ancora che iniziassero le trattative, ha scritto su Truth Social che la CBS “ammette il crimine” solo per aver accettato il dialogo. Poi, giusto per non lasciare fuori nessuno, ha sparato a palle incatenate anche contro il New York Times, accusandolo di aver raccontato il caso in modo “fazioso e potenzialmente illegale”. Indagini in arrivo, minaccia lui.

Morale della favola: la libertà di stampa negli Stati Uniti non muore sotto i colpi della censura, ma tra le carte bollate e gli assegni in bianco. Trump non silenzia i media, li compra — o meglio, li spaventa con l’idea di poterli distruggere. E “60 Minutes”, da baluardo del giornalismo, rischia di diventare solo l’orologio rotto di un’informazione che ha perso l’ora esatta.

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