Altro palco, stessa storia. BigMama si è ritagliata un momento tutto suo durante il Concertone del Primo Maggio per tornare sul tema dell’“hating”, come lo chiama lei. “Nell’ultimo periodo c’è tantissimo odio. Tantissimo”, ha dichiarato davanti al pubblico, trasformando la scaletta in uno sfogo personale travestito da appello sociale.
BigMama e il solito noioso monologo
Il punto però è sempre lo stesso: la retorica di chi si autoconsacra bersaglio privilegiato e usa la critica (o presunta tale) come trampolino per recitare il ruolo della martire contemporanea. “Parlerò dell’argomento dell’hating, di tutti quelli che si sentono liberi di commentare negativamente quello che fai. Sta diventando tutto troppo esagerato”. Ma esagerato è anche il tono, la retorica, la pretesa che ogni dissenso sia odio, ogni commento una coltellata.
“Se non vi piaccio io cambiate canale; se non vi piace il mio corpo fate in modo di non diventare mai come me; se non vi piace quello che dico, bloccatemi: ma fateci vivere”, ha aggiunto la rapper, parlando al pubblico come se stesse difendendosi da un’aggressione collettiva. Ma cosa vuol dire “fateci vivere”? Chi l’ha impedito? Chi ha negato visibilità a chi, su quel palco, ha avuto minuti e telecamere per raccontare – ancora una volta – quanto il proprio corpo sia stato una fonte di dolore e quanto questo dolore debba essere, a quanto pare, condiviso, digerito e assolto da chi ascolta.
“Il mio corpo mi ha fatto soffrire, ma io lo perdono, perché non lo potete perdonare voi?”, chiede BigMama. Ma chi lo ha mai condannato? Chi ha chiesto perdono? Il punto non è l’odio, ma la narrazione unilaterale che trasforma ogni dissenso in una crociata contro il vissuto personale.