Nel mondo degli avvocati italiani, due sigle contano: CNF e OCF.
La prima, Consiglio Nazionale Forense, è l’organo di vertice della professione: rappresenta tutti gli avvocati italiani, detta le regole, tiene i rapporti con le istituzioni e ha voce pesante su esami, formazione e disciplina.
La seconda, l’Organismo Congressuale Forense, è il “parlamento” dell’Avvocatura: nasce dal Congresso Nazionale Forense e rappresenta le istanze di base, la voce quotidiana delle toghe nei tribunali.
Insieme, quando si muovono, fanno rumore. E adesso si sono mossi.
La riforma dell’ordinamento forense che è stata presentata ieri, il 29 aprile 2025, a Roma – durante l’Agorà dei Presidenti – non è un’aggiustatina da tecnici di mestiere. È un vero assalto al cuore della professione. Un tentativo di riportare ordine, rispetto e tutele in una categoria che da troppi anni si regge su equilibri instabili e regole d’altri tempi.
Compensi a risultato: il futuro ha un prezzo
La riforma apre finalmente a un principio semplice ma rivoluzionario: chi lavora bene, può farsi pagare meglio.
Gli avvocati potranno infatti concordare con i propri clienti compensi legati agli obiettivi raggiunti. Ma – ed è un ma fondamentale – questi accordi dovranno essere scritti, proporzionati all’attività svolta, e non potranno superare il 20% in più rispetto ai massimi previsti dalla legge.
Stop, quindi, ai patti “alla buona” o ai bonus esagerati. Il compenso sarà meritocratico, ma con paletti rigidi. E restano vietati gli accordi che violano l’art. 1261 del Codice Civile (quello, per intenderci, che proibisce agli avvocati di lucrare su crediti litigiosi altrui).
Il segreto professionale? Non si tocca
Ma il vero baluardo, la trincea etica e giuridica che questa riforma blinda come mai prima d’ora, è il segreto professionale.
Non è più solo una regola deontologica, non è una cortesia tra colleghi. Diventa un principio di ordine pubblico: generale, assoluto, senza scadenza. Vale sempre. Per tutto. E per tutti: avvocati, praticanti, dipendenti, collaboratori. Vale anche per i documenti digitali, i file nel cloud, le note vocali salvate nel telefono.
Insomma: lo studio legale diventa un bunker.
E se qualcuno – magari un magistrato, un ufficiale di polizia, un giornalista troppo curioso – volesse ficcare il naso? Si può fare, ma solo alle condizioni previste dall’art. 103 del codice di procedura penale. E prima bisogna avvisare il Consiglio dell’Ordine. Altro che blitz: qui serve una chiave e due permessi.
Il resto della riforma (in breve)
Certo, ci sono anche altri aspetti:
- Il tirocinio diventa più serio: 18 mesi obbligatori, solo in studi legali, con frequenza a scuole forensi accreditate.
- La monocommittenza e le collaborazioni continuative vengono regolate per evitare lo sfruttamento mascherato.
- Le incompatibilità si allentano: l’avvocato potrà gestire società, ma con limiti chiari.
- E infine, i mandati nei consigli forensi avranno durata di tre anni, con tetto massimo a tre consecutivi (più uno solo in casi particolari).
Ora il testo passa alla politica. Tocca al Parlamento decidere se questa riforma – frutto del lavoro congiunto dei due cuori pulsanti dell’Avvocatura, CNF e OCF – sarà legge o resterà lettera morta.
Quel che è certo è che la professione forense non vuole più farsi dettare le regole da fuori. Vuole riscriverle. Vuole contare. E lo vuole fare con una toga più rigida, ma anche più giusta.