Raoul Bova di internet ne sa più di qualcosa, suo malgrado. E ora si presenta pure ad Atreju, giovedì alle 18, nei giardini di Castel Sant’Angelo, per parlare di privacy, reputazione digitale e disastri social con Arianna Meloni e Francesca Barra. Risponde cauto, e c’è da capirlo: quando vuoi salire su un palco a fare il paladino dopo certe vicende, il terreno è scivoloso.
“Senza distinzione politica”… davvero?
A sentirlo, la magia di Atreju starebbe nella coesistenza pacifica di cittadini, artisti, giornalisti e politici “senza distinzione di pensiero politico”. Una frase così ingenua da sembrare scritta per finta. Atreju, evento identitario di Fratelli d’Italia, come simbolo della neutralità? Ma per favore.
La favola dell’agorà neutra funziona solo se si decide di non guardare dove si è seduti.
L’invito “spontaneo”
Alla domanda su chi l’abbia chiamato, Bova risponde con un candore quasi commovente: “Una persona dell’organizzazione”. Né la premier né sua sorella, no. Solo qualcuno che passa di lì. Tutto spontaneo, tutto naturale.
Peccato che a furia di voler sembrare estranei alla politica si finisca per risultare più politici dei politici.
Fake news? Sì, ma non nel suo caso
Qui il discorso si fa grottesco. Dice che parlerà di fake news e web reputation, un tema “traumatico” che l’ha toccato personalmente. Racconta di rabbia, stupore, dolore. Si sente “denudato in piazza”.
Tutto molto toccante, tutto molto poetico.
Peccato che ci sia un problema strutturale: non erano fake news. Non c’era nulla di inventato. Gli audio erano veri.
E allora questa posa da crociato contro la disinformazione fa quasi ridere. Per essere vittima di fake news, serve almeno una notizia falsa.
Il padre dell’anno (a intermittenza)
Bova annuncia che porterà all’evento i suoi figli più grandi “per far conoscere un luogo di formazione delle idee”. Una scena da spot istituzionale.
Peccato che questo stesso campione di valori familiari sia l’uomo che ha perso la testa per una ventenne che su Instagram aveva come foto profilo il proprio lato B.
Succede, certo. Ma se scegli di raccontarti come esempio morale, devi almeno nascondere meglio i retroscena.
“Ci stiamo lavorando”: chi sarà felice di saperlo
La sua fase di riflessione personale è in corso, ci tiene a dirlo. “Ci stiamo lavorando”.
Dichiarazione elegante, anzi elegantissima. Specialmente per Beatrice Arnera, che sicuramente sarà entusiasta di sapere che tutto è ancora in fase di manutenzione emotiva.
E già che siamo in tema, evitiamo di dipingere come vergogna un periodo da single: non è obbligatorio fidanzarsi a ripetizione, non è un dovere civile.
Cyber security secondo Raoul Bova
Il finale è la parte più fine della sceneggiatura. Raoul Bova che parla di cyber security.
Se questo è il programma, siamo davvero a cavallo.
Dopo gli audio, gli scivoloni e le morali improvvisate, l’idea di vederlo spiegare come difendersi sul web è quasi arte contemporanea.
Quando il moralismo fa corto circuito
La verità è che andare su un palco a parlare di fake news che non sono fake, di reputazione ferita da se stessi e di lezioni morali da impartire agli altri è un rischio enorme.
Perché il web non dimentica e, nel suo caso, nemmeno perdona facilmente.
E quando la narrativa cade, resta solo il rumore degli audio. Realissimi.


















