Un dialogo durato 48 ore, poi la retromarcia brutale
Per un attimo sembrava che tra Washington e Caracas si fosse aperto uno spiraglio: una telefonata, qualche indiscrezione su possibili dimissioni di Maduro, persino il miraggio di un negoziato.
Poi Trump è tornato il Trump che conosciamo: bordate, insulti, minacce di raid “molto presto”.
Il tentativo diplomatico è evaporato nel momento esatto in cui gli Stati Uniti hanno capito che Maduro non avrebbe ceduto alle condizioni imposte.
La minaccia dei raid: “Faremo fuori quei figli di p…”
Durante una riunione di governo, il presidente USA ha annunciato che i bombardamenti contro i cartelli della droga potrebbero partire “a breve”.
Non è solo provocazione: Washington ha già schierato una flotta nel Mar dei Caraibi, con 15 mila uomini e la portaerei Gerald Ford.
Il messaggio è chiaro: il dialogo è solo un proforma, l’obiettivo è mostrare i muscoli.
Il bersaglio si allarga: non solo il Venezuela
Trump non si ferma a Caracas. Minaccia la Colombia, accusa mezzo continente di essere complice del narcotraffico e dichiara che qualunque Paese “produca o venda droga agli USA è soggetto ad attacco”.
Una dottrina borderline, praticamente un via libera a colpire Stati sovrani in nome di una guerra alla droga senza confini né regole.
Il presidente colombiano Petro ha risposto senza filtri: “Attaccarci significa dichiararci guerra”.
Sovranità nazionale? Optional.
Gli Stati Uniti alzano il livello dello scontro
Washington ha incrementato la taglia su Maduro a 50 milioni di dollari e ha classificato il Cartel de los Soles come organizzazione terroristica, attribuendone la guida allo stesso presidente venezuelano.
Parallelamente, ha chiuso lo spazio aereo del Venezuela, aumentando la tensione a livelli da Guerra Fredda 2.0.
Qui non siamo più davanti a una crisi regionale, ma a una strategia di pressione totale.
Le richieste impossibili di Maduro
Maduro, dal canto suo, ha tentato una trattativa impossibile: amnistia totale per sé e il suo entourage; mantenimento del controllo dell’esercito anche in caso di dimissioni; transizione rinviata a un futuro non definito.
Washington ha respinto tutto in blocco.
In risposta, Trump ha premuto il tasto della forza, convinto che il crollo del regime sia ormai una questione di tempo.
Caracas risponde con sfida
Maduro è riapparso in pubblico, facendo quello che fa quando è sotto pressione: trasformare la crisi in teatro politico.
Ha parlato di “pace da schiavi” e “pace delle colonie”, accusando gli Stati Uniti di voler trasformare il Venezuela in un protettorato.
E come sempre, ha concluso con la sua iconica danza, un simbolo di sfida quasi surreale mentre il Paese affonda.
Una crisi che può esplodere da un momento all’altro
Tra flotta americana, minacce di bombardamenti e ultimatum ignorati, la crisi Venezuela-USA è tornata a livelli pericolosi.
Trump non sta giocando a scacchi: sta lanciando fiammiferi vicino a una polveriera.
E in mezzo, il popolo venezuelano continua a pagare il prezzo più alto.


















