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Putin alza la posta: “Trattiamo pure, ma se Kiev non lascia il Donbass lo prendiamo con la forza”

La diplomazia è ufficialmente in coma. A pochi giorni dai nuovi colloqui fra Washington e Mosca, Vladimir Putin decide di anticipare il finale: per fermare la guerra, dice, serve che l’Ucraina abbandoni i territori che il Cremlino considera “suoi”. E se non lo farà? Semplice: “Li prenderemo con la forza”.
Non un messaggio di pace. Un ultimatum.

Territori contesi, condizioni impossibili

Putin non chiarisce se parla solo delle regioni del Donbass — Donetsk e Lugansk — o se pretende anche Kherson e Zaporizhzhia, annesse con referendum che nessuno al mondo ha riconosciuto.
Ma il punto, per Mosca, è uno: quei territori non sono più negoziabili. Per lui la guerra si ferma solo quando l’Ucraina si ritira. Punto.

E nei colloqui con gli Stati Uniti, uno dei dossier fondamentali sarà il riconoscimento internazionale della Crimea e del Donbass come territori russi. Non più solo una conquista di fatto: un timbro di legittimità. Per l’Occidente, una follia. Per Putin, una condizione “minima”.

La versione del Cremlino: esercito ucraino allo stremo

Dalla sua visita in Kirghizistan, Putin dipinge un esercito ucraino allo sfacelo: un deficit mensile di 15 mila soldati e 47 mila perdite solo in ottobre. Numeri senza verifica indipendente, ma perfetti per alimentare la narrativa di un’Ucraina allo stremo e destinata a cedere.

E nel frattempo, mette in discussione la legittimità del presidente Zelensky: mandato scaduto, elezioni sospese per legge marziale. Secondo Mosca, qualunque sua firma su un accordo di pace potrebbe essere considerata… carta straccia.

Gli Stati Uniti al tavolo e il caso Witkoff

A Mosca arriverà Steve Witkoff, inviato speciale americano, già criticato in patria per essere “troppo vicino” alla Russia. Putin difende la sua presenza e parla di rapporti “civili” con Washington, quasi a voler mostrare una faccia dialogante mentre sul campo rilancia minacce militari.

Una contraddizione perfetta per la narrativa putiniana: un tono apparentemente pacato, con un coltello diplomatico dietro la schiena.

Europa nel mirino: ritorsioni pronte

Il Cremlino lo dice chiaramente: se l’Europa dovesse confiscare i beni russi congelati per destinarli all’Ucraina, Mosca risponderà con un pacchetto di ritorsioni economiche già preparato.
Putin nega qualunque intenzione aggressiva verso l’Occidente — “menzogne totali”, dice — ma nello stesso respiro fa capire che la reazione russa sarebbe immediata e dura.

Poi offre all’Europa una “garanzia di non aggressione”. Un gesto che dice tutto: solo chi minaccia davvero sente il bisogno di promettere che non lo farà.

Reazioni italiane: prudenza, scetticismo e speranze

Dal fronte italiano arriva la voce del ministro della Difesa Guido Crosetto: prudenza, dubbi sulle reali intenzioni del Cremlino, ma apertura a un negoziato qualora la Russia mostrasse la volontà di trattare seriamente.
Un equilibrio difficile, mentre l’esercito di Mosca continua a rafforzarsi e gli ultimatum diventano sempre più espliciti.

Il messaggio finale di Putin

La sintesi è brutale:
o l’Ucraina abbandona i territori occupati, o la Russia se li prende militarmente.
Chiamarlo “piano di pace” è quasi una provocazione.

Il Cremlino parla di dialogo, ma le condizioni sono una resa.
E quando la pace diventa sinonimo di annessione, significa che la guerra non è affatto vicina alla fine: è semplicemente cambiato il modo in cui viene raccontata.

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Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.