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Femminicidio è legge ma è scontro sul ddl consenso: l’Italia fa un passo avanti e due indietro

Un voto storico… e subito una frenata

Il Parlamento approva all’unanimità il reato di femminicidio. È un passaggio storico: l’articolo 577-bis entra nel Codice penale e stabilisce l’ergastolo quando una donna viene uccisa per odio di genere, discriminazione o per annientarne la libertà. Un segnale forte, simbolico, necessario. L’Italia, almeno su questo fronte, sembra finalmente aver deciso da che parte stare.

Ma mentre una mano firma il progresso, l’altra lo frena. Proprio nel giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne, il «ddl consenso» — il provvedimento che dovrebbe chiarire cosa significa davvero consenso informato e proteggere le vittime nei processi per violenza sessuale — si blocca in Commissione Giustizia al Senato. Un corto circuito politico che vanifica la narrazione di compattezza mostrata poche ore prima.

La maggioranza si inceppa sul punto più delicato

La frenata nasce all’interno della stessa maggioranza, che improvvisamente chiede “approfondimenti tecnici” su alcune parti del testo. Una formula che in politica suona quasi sempre come un sinonimo educato di “non passa”. A preoccupare sarebbe la norma sui casi di minore gravità: il timore, dicono, è che l’applicazione della legge non sia proporzionata.

Il punto è: possibile che queste perplessità emergano solo oggi, proprio oggi, mentre il Parlamento si prepara a parlare al Paese di violenza di genere? Possibile che un testo approvato all’unanimità alla Camera diventi di colpo un oggetto misterioso da “studiare meglio”?
La sensazione, inevitabile, è che qualcuno abbia tirato il freno a mano quando il treno era già in corsa.

Lo scontro politico è immediato

L’opposizione esplode. Per il Pd, per Avs e per il Movimento 5 Stelle, la maggioranza ha “stracciato il patto Meloni–Schlein”. E in effetti il patto c’era: un accordo politico ai massimi livelli per portare a casa, insieme, una legge destinata a incidere sulla tutela delle vittime nei casi di violenza sessuale.

Schlein parla chiaro: “Io rispetto gli accordi. Spero lo faccia anche la presidente del Consiglio”. Un messaggio diretto, quasi un ultimatum.
Meloni, invece, sceglie di commentare soltanto la legge sul femminicidio. Nulla sul consenso. Un silenzio che pesa più di una dichiarazione.

La maggioranza prova a negare lo strappo

Giulia Bongiorno, presidente della Commissione e volto di riferimento sulle battaglie per le vittime, assicura che il ddl non è affossato e che “si andrà avanti”. Ma le sue parole rivelano il problema: non c’è l’unanimità per procedere in tempi rapidi. E quando manca l’unanimità, in politica, il rischio paralisi è dietro l’angolo.

La verità è che la maggioranza si trova stretta tra due pressioni opposte: la necessità di mostrarsi compatta e progressista sul tema della violenza di genere, e la paura di approvare un testo che una parte del centrodestra considera troppo radicale.

Una resa dei conti nel giorno peggiore

Che tutto questo avvenga il 25 novembre è il dettaglio che trasforma un incidente di percorso in un segnale politico. Nel giorno in cui l’Italia dovrebbe parlare con una sola voce, le tensioni interne al governo diventano lo spettacolo principale.
Il paradosso è evidente: si introduce il reato di femminicidio, ma ci si divide sul meccanismo che dovrebbe aiutare a prevenire proprio quei reati rendendo più chiara la disciplina del consenso.

Il messaggio che arriva al Paese è contraddittorio e disorientante: un passo avanti accompagnato da uno scivolone che rischia di annullarne la forza.

Il rischio più grande: l’illusione del cambiamento

Approvarsi la legge sul femminicidio e rinviare quella sul consenso equivale a costruire la facciata e lasciare il retro della casa pericolante. È una politica che preferisce il simbolo alla sostanza, la celebrazione al cantiere.
Il processo per femminicidio interviene dopo che la violenza è avvenuta. Il consenso informato, invece, serve a prevenirla, a giudicarla con più giustizia, a restituire credibilità alle vittime.

Bloccarlo proprio oggi significa dire che il cambiamento è importante, ma non urgente. Ed è questo, forse, l’aspetto più amaro.

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Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.