L’accusa che pesa come un macigno
La Procura di Milano non ha lasciato margini di interpretazione: per Chiara Ferragni la richiesta è una condanna a un anno e otto mesi per truffa aggravata. Non un’imprudenza, non un errore di comunicazione, non un “malinteso pubblicitario”. Una truffa. Aggravata.
E questo, per un influencer che ha costruito un impero sulla fiducia dei follower e sulla facciata trasparente del “faccio del bene”, è il colpo più duro che potesse arrivare.
Non era sola: la Procura punta il dito anche sul suo braccio destro
Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco non fa sconti nemmeno a Fabio Maria D’Amato, l’uomo che per anni ha mosso i fili del suo business. La richiesta è la stessa: un anno e otto mesi.
Un dettaglio che parla più di qualsiasi motivazione tecnica: se la pena richiesta è identica significa che, per l’accusa, Ferragni e D’Amato non solo erano informati, ma erano parte attiva dello stesso meccanismo. Un sistema consapevole che ha usato la beneficenza – quella vera, quella per i bambini – come leva pubblicitaria e moltiplicatore di profitti.
Beneficenza come marketing: il cuore del Pandoro Gate
Il centro del processo è questo: i prodotti Balocco e Dolci Preziosi erano stati venduti come legati a iniziative benefiche. Ma, secondo l’accusa, la narrazione era costruita per generare engagement, vendite e guadagni, non per devolvere realmente ciò che veniva promesso.
La beneficenza, quella che dovrebbe sollevare chi è fragile, è stata trasformata in un asset commerciale. E il messaggio è semplice quanto brutale: qualcuno ha guadagnato sulle lacrime degli altri.
La parte civile e i soldi versati, ma la responsabilità resta
In aula rimane una sola parte civile, l’associazione “Casa dei Consumatori”: tutte le altre hanno già trovato accordi economici.
E Ferragni, tra sanzioni e risarcimenti, ha già versato 3,4 milioni di euro prima ancora dell’inizio vero del processo. Una cifra enorme, certo, ma che pone un’altra domanda: serve davvero pagare così tanto se si è convinti della propria innocenza?
Per la Procura, quei soldi non cancellano la responsabilità. Al massimo la attenuano.
Rito abbreviato, pene ridotte, ma il nodo resta: colpevoli o no?
Gli imputati hanno chiesto il rito abbreviato, quello che permette di ridurre la pena di un terzo. Scelta tattica, scelta utile, scelta furba. Ma il fatto rimane: oggi non si discute su quanto pagheranno, ma se hanno truffato.
E per la Procura il quadro è limpido: sì, hanno truffato. Insieme. Consapevolmente.
Ferragni entra all’alba, scappa dai fotografi e dice di essere in buona fede
Chiara Ferragni è entrata in tribunale prima dell’apertura degli uffici per evitare l’assalto dei fotografi. Ha parlato, ha dichiarato di aver agito sempre “in buona fede”.
Ma ora non è più una questione di immagine, né di storytelling. È una questione di legge. Di responsabilità. Di ciò che si è fatto, non di ciò che si vuole far credere.
La vera domanda: la legge farà il suo corso o verrà tutto insabbiato?
Se la Procura chiede un anno e otto mesi per Ferragni e per il suo braccio destro, significa una cosa sola: secondo lo Stato, sapevano tutto e hanno fatto tutto.
Hanno lucrato su prodotti venduti come solidali. Hanno guadagnato utilizzando la beneficenza per i bambini come operazione di marketing.
Ora resta da vedere se la legge sarà davvero uguale per tutti o se, come spesso accade ai piani alti dello show business, tutto finirà nel cassetto delle assoluzioni eleganti.
Il 5 dicembre parleranno i difensori. Ma la domanda che pesa è una sola: questa volta la giustizia avrà il coraggio di essere giustizia?


















