Ternopil colpita al cuore
L’ovest dell’Ucraina, considerato per mesi la parte “più sicura” del Paese, si è risvegliato in un incubo. Ternopil è stata devastata da un attacco combinato di missili e droni Shahed che ha provocato venticinque morti, tra cui tre bambini, e decine di feriti.
Due palazzi residenziali sono stati sbriciolati in pochi secondi: un condominio da 104 appartamenti e un altro da 51, trasformati in carcasse fumanti. Le autorità parlano di persone ancora intrappolate sotto le macerie, mentre Kiev accusa Mosca di “omicidio deliberato” e annuncia che porterà il caso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Una pioggia di droni e missili
È stata una delle offensive più pesanti dall’inizio della guerra. La notte è stata segnata da centinaia di droni e dozzine di missili che hanno preso di mira infrastrutture energetiche e industriali, causando blackout in molte regioni e costringendo milioni di persone a ripararsi nei rifugi.
Mosca ha rivendicato l’operazione parlando di “obiettivi militari”, ma le immagini provenienti da Ternopil raccontano un’altra storia: sono le case a essere state colpite, non le basi.
L’Europa si muove: jet in volo e scudi ai confini
Il bombardamento non ha lasciato indifferenti i Paesi confinanti. La Polonia ha chiuso due aeroporti e fatto decollare i propri caccia in stato di allerta, mentre è stata avviata l’operazione Horizon, un piano che mobilita diecimila uomini per blindare ferrovie e infrastrutture sensibili.
Anche la Romania ha alzato i jet dopo l’avvistamento di droni russi nelle aree di confine, un segnale che la guerra si sta avvicinando ai margini della NATO più di quanto l’Europa sia disposta ad ammettere.
Oltremanica cresce la tensione: Londra intercetta una nave spia russa
Il clima si fa pesante anche nel Regno Unito, dove la Royal Navy sta monitorando la Yantar, una nave spia russa progettata per tracciare e, se necessario, manipolare i cavi sottomarini. Fonti britanniche parlano di “comportamento ostile” e ricordano che è la seconda volta in pochi mesi che l’imbarcazione si avvicina così tanto alle acque controllate da Londra. In un mondo dove i cavi dei dati sono più importanti delle armi, mappare il fondale significa mettere le mani sulla gola dell’Occidente.
Mentre si bombarda, si tratta: il piano segreto tra USA e Russia
Nel silenzio dei riflettori, la diplomazia sta correndo più veloce dei missili. Secondo retroscena diffusi da Axios e Politico, gli Stati Uniti stanno lavorando a un piano di pace di ventotto punti da presentare alla Russia e all’Ucraina già entro la fine del mese. Un progetto scritto quasi a porte chiuse, tanto che un funzionario americano — citato da Politico — avrebbe dichiarato: “Non ci interessano gli europei. L’importante è che l’Ucraina accetti”. Una frase che pesa come piombo in un momento in cui Kiev vede diminuire le sue possibilità di scelta.
La Turchia, nel frattempo, prova a rimettere intorno allo stesso tavolo Mosca e Kiev. Erdogan ha proposto di riaprire i colloqui a Istanbul, come agli inizi della guerra. Ma il Cremlino continua a mostrare freddezza: ufficialmente nega qualsiasi progresso nei negoziati, mentre dietro le quinte mantiene il contatto con gli emissari americani.
Caos interno a Kiev
Il Paese deve gestire anche la propria instabilità politica. Il Parlamento ha destituito i ministri dell’Energia e della Giustizia dopo un nuovo scandalo di corruzione, in un momento in cui la rete elettrica è di nuovo sotto attacco e il malcontento popolare cresce. Al dicastero dell’Energia subentra ad interim Artem Nekrasov, chiamato a gestire l’emergenza in condizioni che definire difficili sarebbe un eufemismo.
L’Ucraina nel mezzo: più si parla di pace, più si vedono bombe
Il paradosso è evidente: mentre il mondo discute di pace, la guerra si intensifica. La Russia colpisce con forza per presentarsi al tavolo dei negoziati in posizione dominante, gli Stati Uniti accelerano per chiudere il conflitto, l’Europa reagisce in ordine sparso e l’Ucraina resta il terreno su cui le grandi potenze giocano una partita pericolosa.
La domanda, alla fine, è solo una: quanto può resistere un Paese che ogni volta che si parla di diplomazia deve contare i morti?


















