Non è più un’ipotesi, è un progetto
A Roma non sta arrivando una suggestione. Non una paranoia. Non una fantasia islamofoba costruita sui social.
Sta arrivando un partito politico islamico vero, ufficiale, dichiarato, messo nero su bianco da un gruppo che si firma MuRo27 – Musulmani per Roma 2027.
Il progetto è pubblico. Rivendicato. E soprattutto motivato da un obiettivo chiaro:
entrare nel cuore della politica italiana portando con sé principi dichiaratamente fondati sulla religione islamica.
Per la prima volta, non parliamo di associazioni culturali o gruppi di pressione: parliamo di un soggetto che mira direttamente alle elezioni amministrative della Capitale.
Il modello Londra–New York: quando l’identità diventa sacrificabile
L’onda non nasce in Italia. Parte da lontano.
Prima Londra, con la narrazione tossica della città “globalizzata”, senza radici, senza identità.
Poi New York, dove l’elezione di Zohran Mamdani è stata raccontata — e utilizzata — come simbolo della “nuova era multiculturale”, dove il criterio del radicamento culturale sparisce e viene sostituito con quello della rappresentanza etnica-religiosa.
E proprio Mamdani è stato citato dal gruppo MuRo27 come ispirazione diretta.
Il messaggio è limpido: se accade a Londra e New York, perché non a Roma?
È la stessa minaccia culturale che già analizzavamo:
se la guida politica di un Paese non rispecchia il suo popolo, la sua storia e i suoi valori, la leadership diventa un contenitore vuoto. Una scatola senza identità, facilmente manipolabile da chi porta agende parallele.
MuRo27: “coerenza religiosa” come programma politico
Il gruppo non parla di politiche pubbliche, né di riforme amministrative.
Il concetto chiave, quello ricorrente, quello che regge l’intero progetto, è uno:
coerenza con i “sacri precetti islamici”.
Una dichiarazione che da sola basterebbe a sollevare un dibattito durissimo.
Perché parlare di “coerenza religiosa” in politica significa una cosa soltanto:
l’idea di un islam politico, cioè una religione che smette di essere culto e vuole diventare struttura normativa, culturale e sociale.
Esattamente ciò che la Costituzione italiana riconosce come incompatibile.
Ed esattamente ciò che ha impedito, fino a oggi, un’intesa tra Stato e Islam ai sensi dell’articolo 8.
Non è la prima volta. Ma è la prima volta che viene detto così apertamente
Negli ultimi anni, diversi gruppi islamici in Italia hanno tentato di influenzare il dibattito politico, soprattutto sfruttando la causa palestinese come leva emotiva.
Ma nessuno era arrivato al punto di dichiarare apertamente l’intenzione di incidere sul risultato elettorale, portando in politica valori religiosi non negoziabili.
E questa volta non si parte da una periferia sperduta.
Non si parte da un comune simbolo.
Si parte da Roma.
Dal centro del potere.
Dal luogo che rappresenta, simbolicamente e storicamente, la radice della nostra identità occidentale.
Monfalcone non era un campanello: era una sirena d’allarme
I più attenti ricorderanno la lista interamente islamica di Monfalcone, guidata da Bou Konate.
Un episodio che molti avevano liquidato come “locale”, “folkloristico”, “irrilevante”.
Oggi appare per quello che era: una prova generale. MuRo27 non arriva allo scoperto per caso. Arriva con largo anticipo, con una struttura, con un piano. E con un messaggio che non nasconde nulla: prendersi la Capitale.
La domanda finale: è ancora solo politica o è un cambio di civiltà?
C’è una frase che pesa come un macigno:
«La rilevanza politica della presenza islamica in Italia è quasi insignificante. Il nostro obiettivo è renderla significativa.»
Significativa come?
Significativa per chi?
Significativa in base a quali principi?
L’idea che Roma possa diventare il laboratorio europeo di un islam politico non è fantascienza. Non è estremismo. È ciò che il gruppo stesso scrive nei propri documenti.
E allora sì, la domanda diventa inevitabile: Roma sarà la prossima Londra? La prossima New York?
Oppure sarà l’ultimo baluardo di un Paese che difende la propria identità senza vergognarsene?
Perché se iniziamo a considerare normale che qualcuno voglia “prendersi la Capitale” in nome della Sharia, allora il crollo non sarà politico.
Sarà culturale.
E irreversibile.


















