L’offensiva notturna
L’esercito israeliano ha lanciato una nuova ondata di attacchi nel Sud del Libano, colpendo quelle che definisce “infrastrutture militari terroristiche” di Hezbollah. I raid sono iniziati dopo che l’IDF aveva avvertito i residenti dei villaggi di Taybeh, Tayr Debba e Aita al-Jabal di evacuare le abitazioni utilizzate, secondo Israele, dalla milizia libanese. Nei messaggi diffusi in lingua araba, corredati da mappe dettagliate, si invitava la popolazione ad allontanarsi di almeno cinquecento metri per evitare di essere coinvolta nelle esplosioni.
Secondo fonti locali, diverse aree del distretto di Tiro sono state colpite nella notte. In un raid a Burj Rahal sarebbe rimasta uccisa una persona e un’altra ferita. L’IDF sostiene che l’operazione sia parte di una strategia mirata a impedire a Hezbollah di ricostruire la propria rete di postazioni militari lungo il confine settentrionale di Israele, dove la tensione resta costante da mesi.
Un cessate il fuoco solo sulla carta
Il fragile accordo di cessate il fuoco mediato da Washington nel novembre scorso non ha mai davvero retto. Da allora, il Sud del Libano vive in uno stato di guerra strisciante: Israele conduce raid quasi quotidiani contro presunti depositi di armi o punti di osservazione del gruppo sciita, mentre Hezbollah mantiene un profilo militare attivo, pur evitando per ora una risposta su larga scala.
Il governo libanese denuncia violazioni continue dello spazio aereo e bombardamenti contro aree civili, mentre gli osservatori internazionali parlano di una “guerra a bassa intensità” che rischia di esplodere da un momento all’altro. Ogni notte, il confine si illumina di colpi di artiglieria e droni.
Netanyahu: “Non chiediamo permesso a nessuno”
A infiammare ulteriormente il quadro, le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha ribadito la linea dura del suo governo: “Non chiediamo ai nostri amici americani il permesso di muoverci. Li informiamo soltanto delle nostre decisioni. Ci difendiamo da soli, ovunque si trovi il pericolo”. Un messaggio chiaro, rivolto tanto a Hezbollah quanto agli Stati Uniti, che continuano a sollecitare Tel Aviv a evitare una nuova escalation.
Per Israele, il confine libanese rappresenta una minaccia costante: le postazioni di Hezbollah si trovano a pochi chilometri dalle cittadine israeliane della Galilea, e i razzi del gruppo libanese sono capaci di colpire in profondità il territorio. Netanyahu vuole mostrare che nessuna zona resterà intoccata se sarà ritenuta ostile.
Civili intrappolati
Nel frattempo, migliaia di libanesi fuggono verso nord. I villaggi bombardati si svuotano, le scuole si trasformano in rifugi improvvisati e gli ospedali del Sud, già al limite, si preparano a nuovi afflussi di feriti. Le strade verso Tiro e Nabatieh si riempiono di auto e camion carichi di famiglie e di paura.
Il governo di Beirut parla di “aggressione continua”, accusando Israele di colpire zone densamente abitate e di violare il diritto internazionale. Da parte sua, Hezbollah promette “una risposta proporzionata”, ma per ora si limita a rafforzare le proprie posizioni difensive lungo la linea di demarcazione.
Una guerra che scavalca i confini
Gli analisti parlano di un conflitto ormai fuori controllo. Gaza, Libano, Siria: ogni fronte si intreccia all’altro, alimentando una spirale di violenza che nessuno sembra più in grado di fermare. Israele rivendica il diritto di difendersi, ma ogni bomba sganciata oltre confine aumenta il rischio di un incendio regionale.
Il Sud del Libano torna così a essere il punto più fragile del Medio Oriente: un confine armato, un equilibrio precario e una popolazione che paga, come sempre, il prezzo più alto di una guerra che non si ferma mai.


















