Si infiamma lo scontro politico tra Giorgia Meloni e Maurizio Landini dopo che il segretario generale della Cgil, ospite a DiMartedì su La7, ha definito la premier «la cortigiana di Trump». Un termine che ha subito scatenato la reazione della presidente del Consiglio e di gran parte del mondo politico, per il suo evidente tono sessista e degradante.
Landini ha poi cercato di giustificarsi parlando di “donna di corte”, ma la precisazione non ha convinto.
La polemica, anzi, si è amplificata, trasformandosi in un vero e proprio caso politico.
Meloni: “Ecco la sinistra che predica rispetto e poi insulta le donne”
La premier ha scelto di rispondere con un post netto e documentato.
Pubblicando la definizione del termine cortigiana – «donna di facili costumi, prostituta» – Meloni ha scritto:
«Il segretario generale della Cgil, obnubilato da un rancore montante, mi definisce una cortigiana. Ecco a voi un’altra splendida diapositiva della sinistra: quella che per decenni ci ha fatto la morale sul rispetto delle donne, ma che poi, per criticare una donna, in mancanza di argomenti, le dà della prostituta.»
Parole che non lasciano spazio all’ambiguità.
Meloni ribalta la narrazione: la sinistra che dice di battersi per i diritti delle donne e contro la violenza verbale, finisce per usare proprio quel linguaggio che dice di combattere.
Un cortocircuito evidente — politico e culturale — che mina la credibilità di chi predica rispetto, ma non lo pratica.
La sinistra e il paradosso del doppio standard
Il caso Landini-Meloni è diventato il simbolo di un problema più ampio: una sinistra che si erge a difensore dei diritti femminili, che parla di emancipazione e di parità, ma che – quando si trova di fronte a una donna di destra – ricorre a parole che umiliano, non che contestano.
Perché definire una premier “cortigiana” non è una critica politica: è un attacco personale, carico di un sessismo antico e meschino.
È la prova, sostiene Meloni, che quando mancano argomenti e idee, arrivano gli insulti.
Un linguaggio che svela debolezza
Invece di discutere di temi concreti – lavoro, economia, politica estera – una parte della sinistra sceglie il terreno più basso: quello dell’offesa.
Un linguaggio che rivela povertà argomentativa e incapacità di reggere un confronto reale.
Meloni, colpita sul piano personale, ha trasformato l’episodio in un punto politico:
non solo una difesa personale, ma una denuncia contro un atteggiamento ipocrita che si ripete da anni — un femminismo a targhe alterne, valido solo se la donna appartiene al campo “giusto”.
Un messaggio chiaro: rispetto prima di tutto
Dietro la polemica resta un messaggio preciso: il rispetto non può essere selettivo.
Non può valere per alcune donne sì e per altre no.
Non può diventare un’arma politica da usare contro chi la pensa diversamente.
«L’avversario si combatte con le idee, non con gli insulti» – ha ribadito Meloni – e la differenza, in questo caso, è tutta qui: tra chi discute e chi denigra, tra chi argomenta e chi offende.
Che imbarazzo
L’episodio tra Giorgia Meloni e Maurizio Landini non è solo una lite televisiva: è lo specchio di un dibattito politico che troppo spesso dimentica il rispetto e la sostanza.
Una sinistra che dice di voler difendere le donne ma le insulta quando non ha argomenti rischia di perdere la propria credibilità — e, soprattutto, di rivelare la propria debolezza.