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Trump, Hamas e il summit di Sharm: sulla carta è pace, ma la sfida inizia ora

L’Air Force One atterra in Israele con il presidente e la delegazione americana. Accordo tra Hamas e Israele: ostaggi rilasciati, prigionieri liberati, ma la vera sfida inizia ora.

Il cielo sopra Israele oggi è tornato silenzioso. Dopo oltre due anni di conflitto, Hamas ha liberato i 20 ostaggi israeliani ancora vivi detenuti a Gaza. In cambio, Israele ha rilasciato quasi duemila prigionieri palestinesi, nel quadro di un accordo di cessate il fuoco mediato direttamente dagli Stati Uniti.

Sul tarmac dell’aeroporto Ben Gurion è atterrato l’Air Force One, con a bordo Donald Trump e la delegazione americana, accolti da una folla di giornalisti e da un dispiegamento militare imponente. La visita segna l’inizio di una nuova fase diplomatica che, almeno sulla carta, punta a chiudere la più lunga e sanguinosa guerra nella Striscia di Gaza.

Trump e la “nuova alba per il Medio Oriente”

Alla Knesset, davanti ai parlamentari israeliani e ai familiari degli ostaggi, Trump ha parlato di “fine di un’era di terrore e morte”. Ha ringraziato Israele per la “forza e il sacrificio” mostrati negli ultimi mesi e ha promesso che “questa volta la pace non sarà una parentesi, ma una svolta”.

Il presidente ha confermato che domani volerà a Sharm el-Sheikh, in Egitto, per il summit di pace al quale parteciperanno i leader di oltre trenta Paesi. L’obiettivo è ambizioso: disegnare la governance futura di Gaza, garantire una ricostruzione internazionale e definire un equilibrio di sicurezza condiviso tra Israele e mondo arabo. Dietro la retorica, però, restano questioni complesse: la smilitarizzazione di Hamas, il ruolo dell’Autorità Palestinese e il monitoraggio delle frontiere.

Hamas tra concessioni e sopravvivenza politica

Il movimento islamista, oggi più isolato che mai, ha accettato di rinunciare al controllo armato totale della Striscia, mantenendo però una gestione interna della sicurezza per un periodo transitorio. La misura, sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Egitto, punta a evitare il vuoto istituzionale ma solleva critiche tra i partiti israeliani più duri, che parlano di “resa travestita da tregua”.

Parallelamente, i comandanti di Hamas hanno cercato di mostrare forza, dispiegando uomini armati per “garantire l’ordine” durante il rilascio degli ostaggi. Un segnale evidente: la pace non è ancora sinonimo di disarmo.

Il piano in 20 punti del summit

Secondo indiscrezioni, il documento che sarà discusso a Sharm el-Sheikh — soprannominato “Peace Framework 2025” — prevede:

  • una governance temporanea di Gaza sotto supervisione internazionale;
  • il disarmo graduale dei gruppi armati;
  • un programma di ricostruzione finanziato da Stati Uniti, UE e monarchie del Golfo;
  • e un meccanismo permanente di monitoraggio ONU per prevenire nuovi scontri.

Un equilibrio fragile, che dovrà sopravvivere ai nazionalismi, ai ricatti politici e alle vendette che ancora covano sotto le macerie di Gaza.

Una pace tutta da costruire

Sulla carta, la pace sembra possibile. Ma tra le rovine della Striscia e la diffidenza reciproca, la realtà resta precaria. Israele teme che Hamas si riorganizzi sotto mentite spoglie; Hamas teme di essere spazzato via da un ordine imposto dall’esterno. Come ha detto un diplomatico europeo arrivato al summit: “I trattati si firmano in poche ore. Le paci si costruiscono in decenni.”

Il Medio Oriente volta pagina, ma nessuno sa ancora quanto durerà l’inchiostro.

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Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.