Home CRONACA Gaza, la pace secondo Trump: non è oro tutto ciò che luccica

Gaza, la pace secondo Trump: non è oro tutto ciò che luccica

Il mondo applaude il cessate il fuoco


Israele e Hamas firmano la prima fase del piano di pace, i civili iniziano a tornare nel nord di Gaza e Donald Trump — il “presidente del deal” — può finalmente sfoggiare il suo sorriso da copertina.
Ma dietro le dichiarazioni trionfali e i selfie con la parola peace scritta a caratteri cubitali, resta una domanda che pesa come il silenzio dopo le bombe: è davvero pace, o solo tregua mediatica?

Trump, la rivincita del non-premiato

Giusto ieri, il Comitato di Oslo premiava María Corina Machado con il Nobel per la Pace. Trump, che sognava quel riconoscimento da anni, l’ha presa con la sua solita ironia: in un video diventato virale, scherza al telefono con la vincitrice e dice, sorridendo: “non le ho detto di darmi il premio”.

Battuta o amarezza mascherata, poco importa: con il cessate il fuoco in Medio Oriente, Trump si prende la sua rivincita diplomatica. Non ha vinto il Nobel, ma ha conquistato la scena globale.
E lo fa nel suo stile: spettacolare, autoproclamato, irresistibilmente mediatico.

Il piano: tregua, non soluzione

Il piano prevede tre fasi: cessate il fuoco, liberazione graduale degli ostaggi e, infine, un nuovo assetto politico per Gaza.
Sulla carta è un passo storico. Nella realtà, è un equilibrio fragile costruito sulle macerie.

Le truppe israeliane si ritirano parzialmente, ma restano ai confini pronte a intervenire. Hamas parla di vittoria morale, Israele di sicurezza garantita, e Trump di “accordo fantastico per tutti”. Ognuno racconta la propria verità, ma nessuno dice come sarà governata Gaza nei prossimi mesi.

Chi controllerà il territorio? Chi garantirà la sicurezza? E soprattutto: chi risponderà delle migliaia di civili che tornano a casa… senza più una casa?

L’Europa applaude, ma resta ai margini

L’Unione Europea si allinea, con l’Italia pronta a partecipare alla missione di monitoraggio sul valico di Rafah.
Meloni e Tajani parlano di “svolta storica”, ma il ruolo dell’Europa resta quello di ospite silenzioso in una partita decisa altrove — tra Washington, Gerusalemme e il Cairo.
Un applauso di circostanza, mentre i veri protagonisti si spartiscono la scena.

Pace o strategia di immagine?

Trump non è mai stato un uomo di pace, ma di accordi. E in questo caso l’accordo gli serve: riabilita la sua immagine internazionale e lo rimette al centro della diplomazia mondiale. Il cessate il fuoco è, per lui, più un trofeo mediatico che un gesto umanitario.

Eppure, per quanto costruita su calcoli e convenienze, ogni tregua vale qualcosa.
Per chi vive tra le rovine di Gaza, anche un giorno senza bombe è già un miracolo. Forse la vera differenza non è tra pace e propaganda, ma tra chi usa la pace per apparire e chi la paga sulla propria pelle.

La pace perfetta per Trump

In fondo, è questa la cifra del suo ritorno: una pace che si annuncia in diretta, si racconta sui social e si misura in like. Non è oro tutto ciò che luccica — ma, dopo mesi di guerra, anche un barlume può sembrare luce.
E Trump lo sa benissimo: nel gioco delle immagini, basta saper riflettere la luce giusta per sembrare il sole.

Articolo precedenteTrump voleva il Nobel per la Pace. Il Comitato ha preferito la dignità: vince María Corina Machado
Avatar photo
Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.