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Trump annuncia la pace tra Israele e Hamas: accordo reale o la solita manipolazione dell’informazione?

Il tycoon americano si autoproclama mediatore storico del conflitto, ma poche ore dopo l’annuncio le bombe tornano a cadere su Gaza. È davvero la fine della guerra o solo l’ennesimo teatrino politico?

Trump annuncia il “grande accordo”

Donald Trump lo ha fatto di nuovo. Con un post trionfale sul suo social Truth, l’ex presidente statunitense ha dichiarato che “Israele e Hamas hanno firmato la prima fase di un accordo di pace storico”.
Secondo la sua versione, il patto prevede la liberazione immediata degli ostaggi e un ritiro progressivo delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza, con la mediazione di Egitto, Qatar e Turchia.

Parole che suonano solenni, ma che non trovano ancora riscontro ufficiale nei comunicati dei due governi coinvolti. Fonti diplomatiche parlano di “accordo in valutazione”, e la stessa Israele non ha ancora diffuso alcun documento formale. Insomma: molto rumore, poca sostanza.

Prima distrugge, poi si proclama salvatore

Non sarebbe la prima volta che Donald Trump costruisce un castello sulle macerie di una crisi che lui stesso ha contribuito a creare.
Negli ultimi anni, il tycoon ha soffiato sul fuoco del conflitto israelo-palestinese, sostenendo con forza la linea più dura di Israele e legittimando operazioni militari che hanno devastato Gaza. Oggi, però, si presenta come il “grande pacificatore”, colui che avrebbe rimesso ordine nel caos.

È il copione perfetto del “prima distruggo, poi salvo”.
Un modus operandi già visto nella politica interna americana: creare la crisi, poi offrire la soluzione, e infine prendersi tutto il merito. Trump non è nuovo a questa logica mediatica, e ogni volta riesce a ribaltare la narrazione trasformando il disastro in una “vittoria personale”.

All’alba del 9 ottobre: Gaza esplode ancora

Ma la realtà, come spesso accade, non segue i tweet.
Alle prime luci del 9 ottobre, mentre il mondo commentava l’annuncio del “grande accordo”, la Striscia di Gaza è tornata a tremare. Diverse esplosioni sono state registrate nelle zone centrali e meridionali, con almeno dieci vittime secondo le prime fonti locali.

I testimoni raccontano di sirene, fumo e raid israeliani. Israele non conferma, ma non smentisce. L’accordo, se davvero esiste, è stato violato nel giro di poche ore. Così, la “pace di Trump” si è trasformata nell’ennesimo episodio di una guerra che non conosce tregua.
Una pace proclamata di fronte alle telecamere e smentita dal boato delle bombe.

Accordo reale o manipolazione dell’informazione?

È questa la domanda che aleggia da ore sui canali internazionali.
Perché l’annuncio di Trump arriva in un momento politicamente perfetto per lui, non per la regione. A un passo dalle elezioni, il tycoon aveva bisogno di una vittoria simbolica da sbandierare al mondo, qualcosa che lo restituisse alla ribalta come “l’uomo forte” capace di fermare la guerra.

Ma se l’accordo non è stato ratificato da Israele, né confermato da Hamas, cosa ha davvero annunciato Trump?
Un’intesa diplomatica o un’operazione di propaganda? Il dubbio è legittimo. Perché la sua comunicazione è sempre stata costruita su un equilibrio sottile tra realtà e percezione.
E oggi più che mai, sembra che a contare non sia la pace in sé, ma chi può dire di averla ottenuta.

Domanda per i lettori

L’8 ottobre Trump ha proclamato la pace.
Il 9 ottobre le bombe sono tornate a cadere.
Tra le due date, c’è tutta la distanza tra la realtà e la retorica, tra la diplomazia e il marketing politico.

E allora la domanda resta aperta: accordo reale o la solita manipolazione dell’informazione?

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Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.