C’è un’aria nuova a YouTube. O meglio, un’aria riciclata. Alphabet, la holding che governa Google e la piattaforma video più grande del pianeta, ha scritto al Congresso americano per dire che sì, chi era stato cacciato per aver diffuso bufale su Covid e presunti brogli elettorali nel 2020, ora potrebbe avere una seconda chance. Non un’amnistia, non una svolta epocale: un “progetto pilota”. Come se la libertà d’espressione fosse una feature beta da testare in laboratorio.
Il contesto è chiaro: i Repubblicani hanno aperto un’inchiesta per capire se la Casa Bianca avesse messo pressione ai colossi tech durante la pandemia. E la risposta di Alphabet non è stata tenera: accuse di interferenze dirette da parte dell’amministrazione Biden, tentativi di orientare la moderazione dei contenuti, invocazioni al Primo Emendamento come se fossero un manuale d’uso. Una posizione che suona quasi eroica, se non fosse che fino a ieri gli stessi uffici decidevano cosa poteva restare online e cosa no.
Non solo Washington. Anche l’Europa entra nel mirino: il Digital Services Act, la legge che obbliga piattaforme e social a rimuovere disinformazione e contenuti illegali, viene descritto come un potenziale pericolo per la libertà di parola. Tradotto: a Mountain View temono che Bruxelles voglia trasformare i server californiani in tribunali digitali.
In realtà siamo davanti all’ennesima oscillazione di YouTube, costretto a bilanciare interessi commerciali, pressioni politiche e narrativa pubblica. Da una parte la lotta alle fake news, dall’altra la richiesta – soprattutto conservatrice – di lasciare che sia il pubblico a decidere cosa credere. Nel mezzo, un paradosso: si rischia di legittimare il ritorno di chi ha costruito intere carriere sulla disinformazione, ma questa volta sotto l’etichetta nobile di “diritto alla parola”.
YouTube non si limita a riaprire le porte: lo fa presentandosi come difensore dei valori democratici. Ma resta una domanda inevitabile: quanto c’è di ideale e quanto, invece, di puro calcolo strategico? Perché in gioco non c’è solo la libertà di espressione, ma anche la libertà – ben più redditizia – di fare business senza troppi vincoli.