Home CRONACA Scala mobile rotta, gobbo in tilt: Trump trasforma l’Onu in cabaret

Scala mobile rotta, gobbo in tilt: Trump trasforma l’Onu in cabaret

Donald Trump sale sul palco dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come se fosse la prima serata a Las Vegas. Luci, applausi forzati, il solito repertorio: colpi all’Europa “imbambolata”, accuse all’Onu “inutile”, invettive contro chi si ostina a credere nelle politiche ambientali. La sua crociata è sempre la stessa: chiudere i porti, trivellare i mari, resuscitare il carbone. La “ricetta” del suo Make America Great Again si riduce a due ingredienti: più muri, più barili di petrolio.

Sul banco degli imputati ci finisce il solito bersaglio facile: i migranti, trasformati in fiume nero che invade l’Europa. Numeri snocciolati senza contesto – metà dei detenuti stranieri in Germania, tre quarti in Svizzera – perché le percentuali fanno più rumore delle cause. Poco importa che siano statistiche tagliate su misura per spaventare il pubblico: nella narrazione trumpiana, il migrante non è una persona, ma una minaccia da sbattere in prima pagina.

Poi la caricatura ecologista: gli ambientalisti vorrebbero “uccidere le mucche”, gli accordi sul clima sono “truffe” e il futuro verde non è che un suicidio programmato. Tradotto: lasciatemi trivellare in pace, così la benzina resta a buon mercato e i miei elettori continuano a credere nel mito dell’America dell’età dell’oro.

Il paradosso è che Trump si dichiara pacificatore. “Sette guerre risolte in sette mesi”, proclama, ma a nessuno viene in mente di chiedergli quali siano. Nel frattempo, liquida l’Onu come una macchina di chiacchiere inutili, salvo poi indignarsi perché non lo ringraziano. Non basta l’ego smisurato: ci deve sempre essere lo show comico. La scala mobile che si rompe, il gobbo che non funziona, lui che improvvisa: “Parlo dal cuore”. Sembra cabaret da casinò, non diplomazia globale.

Dietro la farsa però c’è un disegno preciso. Trump non vuole riformare le istituzioni, vuole demolirle. Non vuole migliorare le politiche verdi, vuole bruciarle. Non vuole discutere di accoglienza, vuole ridurre l’essere umano a percentuale di carcerati. E soprattutto: non parla all’assemblea, ma al suo pubblico a casa, quello che si nutre di slogan urlati e paure confezionate.

L’Europa? Un nemico comodo, pavido, da usare come specchio deformato: “vedete come vi riduce l’immigrazione, vedete cosa succede con l’energia green”. L’Onu? Una claque sorda da insultare, giusto per alzare il prezzo della sua presenza. Il clima? Una barzelletta da liquidare con un sorriso.

Alla fine resta solo l’immagine grottesca: il tycoon che si autoincensa, sale le scale “perché in forma” e racconta di guerre vinte senza sparare un colpo. L’uomo che trasforma la diplomazia mondiale in un talent show dove l’unico giudice è lui stesso. Il mondo? Un pubblico pagante, costretto ad ascoltare il solito numero di magia: fumo, specchi e un applauso registrato.

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