La notizia della multa a Lamine Yamal per non essersi presentato a un controllo antidoping dopo la partita di Champions League contro il Porto, lo scorso 4 ottobre 2023, continua a sollevare interrogativi. Mentre le prime analisi si sono concentrate sulla disattenzione del giovane talento, un dettaglio cruciale rimane in sospeso, il più importante di tutti: come può una società come il Barcellona non essere stata attenta a una procedura così fondamentale?
La Rete di Controllo che non ha Funzionato
Il calcio moderno non è solo talento, ma anche una complessa macchina organizzativa. Al termine di ogni partita, in particolare in competizioni di alto livello come la Champions League, la gestione dei giocatori selezionati per il test antidoping è una procedura standard e rigidamente supervisionata. I club dispongono di uno staff dedicato, con team manager e medici, il cui compito primario è proprio quello di assicurare che gli atleti rispettino ogni protocollo, soprattutto quelli legati all’antidoping.
La mancata presentazione di Yamal, quindi, non è un errore che ricade unicamente sul giocatore. Rappresenta una falla nel sistema di controllo della squadra. Come è possibile che un giocatore sia stato lasciato solo a gestire una situazione di tale importanza? La disorganizzazione, o la leggerezza, che ha portato a questo “errore di protocollo” non può essere derubricata a semplice svista del singolo. È una grave mancanza da parte del club catalano che dovrebbe proteggere e guidare i suoi atleti.
Un Segnale di Allarme per il Club e una Riflessione sul Tempo
Mentre il mondo si è soffermato sul talento e sull’ingenuità di Yamal, la multa UEFA getta una luce scomoda sulla gestione interna del Barcellona. In un’epoca in cui ogni dettaglio conta, un errore così elementare solleva dubbi sulla professionalità del club. Il caso di Lamine Yamal, più che una questione di integrità del giocatore, si trasforma in un segnale d’allarme per la società: la tutela dei propri atleti passa anche attraverso il rispetto ferreo delle regole, e in quella notte a Porto, qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto.
Resta, infine, una domanda non meno importante: perché un fatto del genere, che tocca la sfera della correttezza sportiva, è stato reso pubblico solo a distanza di quasi due anni? La discrezione, in questi casi, è prassi, ma il lungo silenzio non fa che alimentare il sospetto che il club abbia preferito tenere la notizia fuori dai riflettori. Un approccio che, pur comprensibile in termini di gestione dell’immagine, va contro la trasparenza che il calcio moderno dovrebbe garantire.