In giunta ha dichiarato: “Le mie mani non sono sporche.”
Perfetto. Nessuno ha mai detto che lo siano. Il punto è un altro. È il modello. È l’impianto. È l’idea tossica, levigata e senz’anima di città che hai scelto di mettere in scena, con il sorriso da influencer e l’indifferenza alle critiche.
Milano non è più Milano. È diventata un parco a tema per trolley. Ogni marciapiede una pista d’atterraggio per valigie rumorose. Ogni via un set Instagram, ogni quartiere un rendering “eco-fighetto” dove la parola sostenibilità serve a far digerire operazioni immobiliari pensate solo per chi può pagare — e tanto. I “veri” milanesi, quelli nati e cresciuti nei cortili e nelle case di ringhiera, sono stati spinti ai margini. Sfrattati dal marketing. Esiliati dal costo della vita. Allontanati dai soldi, quelli veri, che scorrono nei caveau delle banche estere che oggi comprano interi isolati.
Non esiste più una dimensione di città. Solo una vetrina. Un flusso costante di turisti Airbnb che entrano ed escono come clienti in un centro commerciale. Gli anziani restano intrappolati nei propri appartamenti come sotto assedio, schiacciati dalla movida. I giovani scappano o si uniformano, mentre i milanesi, quelli veri, non contano più nulla. La città non è più una comunità. È un brand.
E quegli orribili grattacieli — specchietti per le allodole di capitali stranieri — lasciamoli pure alla magistratura. Che faccia il suo dovere. Noi ci limitiamo a dire che non sono l’emblema del futuro, ma il monumento funebre di ciò che Milano è stata.
Un tempo città che univa industria e cultura, etica del lavoro e umanità. Oggi skyline da brochure, sfondo perfetto per i selfie dei ricchi di passaggio. Simboli verticali di una speculazione che guarda in alto solo per disinteressarsi di tutto ciò che accade in basso. Dove la gente vive. Dove la gente fatica. Dove la gente sparisce.
Questa non è politica. È storytelling urbano con l’autotune. È city branding spinto fino alla nausea. È marketing territoriale travestito da visione.
È l’ideologia del “bello per pochi” venduta come progresso per tutti. È una narrazione patinata in cui ogni dissenso viene silenziato con una mostra, un festival, un evento sponsorizzato da qualche marchio di moda che “ama la città”.
È il dominio del temporaneo, dell’effimero, dell’apparenza.
No, caro sindaco. Nessuno ha detto che le tue mani siano sporche.
Ma Milano — quella vera, quella delle case popolari con le piante sui balconi e i tram che sferragliano all’alba — è stata messa alla porta in nome del profitto. È stata sfrattata dal centro, derisa nelle periferie, compressa nei bilocali a 1.500 euro al mese.
E questo, perdonaci, non si lava con nessuna dichiarazione.
Nemmeno con tutte le mani del mondo.