Secondo una fonte interna al regime, l’ultimatum è arrivato chiaro: entro 24 ore l’ayatollah Khamenei doveva accettare il cessate il fuoco o sarebbe stato colpito nel suo bunker. Il messaggio — recapitato dall’intelligence americana — conteneva le coordinate esatte del suo rifugio. L’ayatollah, isolato e vulnerabile, ha ceduto. Non aveva alternative, ma secondo chi lo conosce, “gli fa anche comodo”. In Iran però, la verità non conta. Conta come la si racconta. E la macchina della propaganda si è messa subito in moto.
La “guerra dei 12 giorni” vista dalla tv di Stato
Da ieri, su Irib — la tv pubblica danneggiata dai raid israeliani — va in scena il copione del regime: un commentatore con barba scura proclama la vittoria. “Siamo i vincitori, non sono riusciti a sconfiggerci”. In studio, ospiti compiacenti raccontano che persino gli Stati Uniti avrebbero implorato l’Iran di fermare gli attacchi contro basi americane e Israele. Una rappresentazione surreale, dove la tregua concessa da Trump diventa un gesto di clemenza da parte della Repubblica islamica.
“Lo fanno sempre”, racconta un professore di Teheran al Corriere della Sera. “Riconquistano la vittoria a ogni sconfitta. E ci invitano pure a festeggiare in piazza Enghelab”.
Il bunker, i tweet e l’impero inventato
Khamenei, nascosto nel suo rifugio per evitare la sorte dei generali eliminati da Israele, ha subito rivendicato il presunto trionfo. Su X ha scritto: “La Nazione iraniana non si arrende”. A ruota sono arrivati i fedelissimi del regime, ognuno con la sua versione della “vittoria”.
Il parlamentare Nabavian si è spinto a dire che “ora l’Iran sta diventando un impero islamico”. L’ex presidente Rouhani ha lanciato l’allarme: “Il cessate il fuoco è un’occasione per l’inganno. Serve allerta massima su intelligence e sicurezza”.
Nel frattempo, la questione nucleare — il vero motivo del conflitto — resta sul tavolo. Trump e Netanyahu vogliono “arricchimento zero”, ma Teheran non sembra intenzionata a cedere. Il portavoce dell’Agenzia atomica iraniana, Behrouz Kamalvandi, è stato chiaro: “L’industria nucleare non si fermerà. Ha radici profonde, non possono estirparla”.
Per gli esperti, questa tregua non è affatto un successo per l’Iran. Dal punto di vista militare è un’umiliazione storica. L’unico vero risultato è che Khamenei è ancora vivo. E con lui, il suo regime.
Mina, una ragazza di Teheran che aveva già parlato nei primi giorni di guerra, lo dice con amarezza: “Si è avverato lo scenario peggiore per noi iraniani: ci hanno bombardato e ci hanno lasciato con i mullah feriti, pronti a opprimerci più di prima”.