Nel giorno in cui Chiara Poggi veniva uccisa nella villetta di via Pascoli a Garlasco, dentro quella casa non c’era solo Andrea Sempio. Secondo la ricostruzione della procura, sostenuta anche dalla difesa di Alberto Stasi, a essere presenti sarebbero state almeno tre persone. Una delle prove chiave resta l’impronta n. 33 sul muro, definita “molto carica di materiale biologico”, compatibile con sangue o sudore misto a sangue. Un dettaglio che, nella visione dell’avvocata Giada Boccellari — legale storico dell’ex fidanzato di Chiara — sta contribuendo a spostare l’asse dell’inchiesta dal simbolico al forense: “Le piste su satanismo, pedofilia e la Madonna della Bozzola? Al momento non risultano riscontrate”, dice chiaramente al Corriere della Sera.
Incidente probatorio
La nuova fase delle indagini è stata scandita dalla decisione del gip Daniela Garlaschelli, che ha affidato un delicato incidente probatorio a un team di periti: la genetista Denise Albani e il dattiloscopista Domenico Marchegiani dovranno analizzare i reperti raccolti in contraddittorio tra le parti. Al centro, il DNA di Sempio ritrovato sotto le unghie di Chiara. Ma la comparazione si allargherà anche ad altri: Roberto Freddi, Mattia Capra, Alessandro Biasibetti — amici di Sempio e Marco Poggi — Marco Panzarasa (amico di Stasi), le gemelle Cappa, oltre ai carabinieri e ai soccorritori intervenuti sul luogo. Nulla sarà escluso, nemmeno le cosiddette “para adesive” delle impronte rilevate all’epoca.
Caccia alle prove (e alle provette)
Sono 35 su 60 le impronte dichiarate “evidenziali” e quindi utili a fini investigativi. Ma non tutte le tracce sono disponibili: l’intonaco rimosso dal muro per analizzare l’impronta 33 non è più reperibile, così come la provetta con la soluzione usata per sciogliere la polvere della stessa impronta. I nuovi accertamenti punteranno anche su altri oggetti della casa: il sacchetto della spazzatura, la parte insanguinata del tappetino del bagno e perfino un cucchiaino rinvenuto sul divano. Nel frattempo, la disposizione delle macchie di sangue è stata riletta con un obiettivo: riscrivere la dinamica dell’omicidio, seguendo l’ipotesi della procura, che parla esplicitamente di “omicidio in concorso”.
La bolla Stasi e l’impronta “parlante”
“Stasi vive in una sorta di bolla di sapone. Gli raccontiamo le novità per sommi capi, ma tende a non leggere i giornali e non guarda la tv. È un meccanismo di difesa”, spiega Boccellari. A proposito dell’impronta 33, aggiunge: “È molto carica di materiale biologico. Le conclusioni verranno affidate ai nostri consulenti, ma si può trattare di sangue o sudore misto a sangue. E anche da una foto si possono fare valutazioni importanti”. A rafforzare la ricostruzione, un dettaglio mai dimenticato dalla difesa: “Già nel 2007 il nostro consulente disse che c’erano almeno due persone. Oggi, sappiamo che l’azione omicidiaria si sviluppa in tre fasi e che, nelle prime, la presenza di più soggetti non si può escludere”.
L’auto nera
A rimescolare le carte, un vecchio post di Michele Bertani — amico di Sempio — pubblicato su Facebook pochi giorni dopo la condanna definitiva di Stasi. Una frase criptica, tratta da una canzone dei Club Dogo: “La Verità Sta Nelle CoSe Che NeSSuno sa!!! la Verità nessuno mai te la racconterà”. Secondo il settimanale Gente, rimuovendo le lettere maiuscole e trasponendo le rimanenti in alfabeto ebraico, emergerebbe una frase inquietante: “C’era una ragazza lì che sapeva”. Bertani, che online si faceva chiamare “Mem He Shin” — un riferimento al quinto nome di Dio nella mistica cabalistica — avrebbe avuto, nel 2007, una Golf nera immatricolata nel 2004. Un dettaglio che riporta alla memoria la testimonianza di Marco Muschitta.