È tempo — quasi — di vacanze. E come ogni anno, iniziamo a compulsare le mappe, scrollare i menu, selezionare con cura l’alloggio giusto, l’esperienza autentica, la trattoria “verace ma elegante”. Per orientarci, usiamo la bussola più affidabile del nostro tempo: le recensioni.
Un ristorante può anche avere la vista sul tramonto e i paccheri all’astice più buoni del litorale, ma se uno sconosciuto su TripAdvisor scrive “servizio lento e vino caldo”, noi lo scartiamo. Un hotel può aver ricevuto premi internazionali, ma se sotto le cinque stelle leggiamo “lenzuola con peli”, scappiamo. Così decidiamo. Così viviamo. Così giudichiamo.
Ora prova a immaginare se questa logica si estendesse a tutto. Non solo ai luoghi. Ma alle persone. Non è più fantascienza. È realtà latente.
È il mondo raccontato in una vecchia puntata di Black Mirror, dove ogni interazione viene valutata con una stellina, ogni sorriso pesa, ogni parola ha un prezzo sociale. Ma è anche quello che, lentamente, stiamo costruendo senza nemmeno accorgercene.
Nel futuro — che poi è già domani mattina — non parleremo più. Ci recensiremo. Tutte le relazioni saranno esperienze da valutare:
Cena con amici? “Bella serata ma Marco ha monopolizzato la conversazione. 3 stelle.” Primo appuntamento? “Gentile ma ha parlato solo del cane. 2 stelle.” Mamma? “Ha cucinato bene, ma troppe frecciatine passive-aggressive. 3,5.”
La comunicazione sarà ridotta a un gesto. Un tap. Un punteggio. Niente più discussioni. Nessuna ambiguità. Solo numeri. Chi scenderà sotto la soglia del 3,8 sarà escluso. Chi salirà troppo sarà considerato costruito. Chi non parteciperà sarà visto con sospetto. Il dissenso non si discuterà più, si segnalerà. L’ironia sarà un rischio. L’autenticità, un problema gestionale.
Ogni nostro gesto diventerà reputazione. Ogni sguardo, un indice di gradimento. Ogni relazione, una performance.
Anche il dolore dovrà essere espresso in modo “recepibile”. Anche l’amore sarà quantificabile: “4 stelle, molto coinvolto, un po’ instabile. Esperienza consigliata solo se vi piace il genere.”
I colloqui di lavoro non li farà più un recruiter, ma un algoritmo con accesso alla tua media emotiva. Gli inviti a cena saranno regolati da punteggio. Le amicizie nasceranno in base al tuo storico valutazioni: sei affidabile o sei un soggetto borderline?
E sai la parte più inquietante? Che ci piacerà. Perché ci sembrerà ordinato. Pulito. Controllabile. Finalmente una società senza incomprensioni: solo dashboard. Ma quella che venderemo come trasparenza sarà, in realtà, solo predittività tossica. Un algoritmo che sa già cosa vuoi sentirti dire, prima ancora che tu lo dica. Un filtro automatico che separa il gradevole dallo scomodo, il vendibile dal vero.
Non importa più chi sei, cosa pensi, cosa provi. Importa solo come appari, e se sei in target.
Perché in un mondo governato da feedback e valutazioni, l’identità non è più un processo, ma una performance. Non sarai più tu a decidere chi sei: sarà il sistema a dirtelo, incrociando le recensioni, le emoji ricevute, le stelline, le keyword emotive. Sarai un’immagine composta dalle aspettative degli altri. Una media matematica della tua accettabilità sociale.
E la percezione, lo sappiamo, è manipolabile. Più dei fatti. Più delle idee. Più delle persone. Si possono comprare follower, gonfiare recensioni, farsi un personal brand pulito come un rendering. Si può essere nulla, ma risultare perfetti. Si può essere splendidi, ma con un commento sbagliato, diventare non raccomandati.
E allora cosa farai? Ti adeguerai. Ti correggerai. Ti modellerai in base all’audience, come uno spot da 30 secondi. Parlerai solo quando serve. Solo se serve. Solo se utile. Il silenzio diventerà l’ultima forma di difesa contro la recensione sbagliata.
Nel futuro non ci sarà più bisogno di parlare. Basterà piacere. Piacere a chi conta, nel modo giusto, al momento giusto. Dire la frase corretta, sorridere al momento esatto, pubblicare la caption approvata dall’umore collettivo. E sperare di non farsi beccare mai con il vino caldo, con le lenzuola sbagliate, con un’opinione fuori luogo. Perché oggi basta una parola per scendere sotto le quattro stelle. E da lì, la risalita è lunga. O peggio: inutile. C’è chi la chiama reputation, a noi sembra che tutta questa storia delle recensioni sta diventando una una sorta di ricatto sociale…