Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, la procura di Pavia ha riaperto ufficialmente il caso. L’obiettivo, come riportato dal Corriere della Sera, è chiaro: verificare se nell’indagine originaria siano sfuggiti elementi rilevanti, soprattutto riguardo all’arma del delitto, che non è mai stata trovata. La mattina del 13 agosto 2007, nella villetta di via Pascoli a Garlasco, Chiara fu uccisa a colpi violenti, ma il corpo presentava ferite di natura diversa. Un dettaglio che oggi potrebbe riaccendere più di un dubbio. Per quel delitto, Alberto Stasi — all’epoca fidanzato con la vittima — è stato condannato in via definitiva. Sta quasi per scontare per intero la pena, ma alcuni interrogativi fondamentali non hanno mai trovato risposta. Primo tra tutti: che fine ha fatto l’arma con cui Chiara è stata uccisa? Nessun oggetto trovato nella villetta è compatibile con le ferite riportate. L’ipotesi, allora, è che l’assassino l’abbia portata via. Ma non è l’unica.
Una o più armi? I nuovi dubbi
Nella sentenza d’appello del 2011 si descrive l’arma come “uno strumento pesante, vibrato più volte con notevole forza, avente una stretta superficie battente, con una punta impiegabile di per sé e probabilmente di natura metallica”. Il padre di Chiara segnalò, già un anno dopo il delitto, la scomparsa da casa di un martello a coda di rondine, usato per spaccare i bancali: un oggetto potenzialmente compatibile.
Ma a rendere il quadro ancora più complesso è un passaggio contenuto nella consulenza medico-legale: “Ove non si voglia ipotizzare l’impiego di più strumenti…”. Un’ipotesi suggestiva: due armi diverse, una contusiva e una da taglio, per spiegare le varie tipologie di lesioni. Dalle escoriazioni alla mascella — “non contusive” — fino ai tagli sulle palpebre, che avrebbero potuto essere causati da un oggetto con “filo tagliente” o “punta acuminata”.
Nuove piste e analisi in corso
La pista delle “due armi” è oggi al vaglio della procura, guidata da Fabio Napoleone. E si intreccia con i reperti ritrovati nel canale di Tromello grazie a un supertestimone coinvolto dal programma Le Iene. Si tratta di una pinza da camino, la testa di un martello e due piccole accette: oggetti trovati all’interno di un borsone abbandonato. Non ci sono conferme che uno di questi sia l’arma del delitto, ma la loro analisi è ora parte delle nuove indagini.
Intanto si riaccende anche la tensione intorno al Dna: i legali della famiglia Poggi hanno chiesto che i prelievi vengano estesi anche a periti e agenti dell’epoca. Sullo sfondo, il timore che qualcosa di cruciale sia sfuggito. E che l’intera verità, dopo quasi due decenni, debba ancora venire a galla.