Alle 17.07 di una domenica di commiato, Simone Inzaghi rientra nel suo attico in zona Moscova. Nessuna parola ai cronisti, solo un passaggio rapido con l’autista dell’Inter. Poco dopo arriva la moglie Gaia Lucariello, colta di sorpresa dai giornalisti: “Arabia? Non so nulla, magari c’è il colpo di scena Juve…” scherza. Ma la verità era nota da tempo: già il 25 maggio, a Riad, si dava per fatto l’accordo con l’Al Hilal. L’addio era scritto.
Il patto con Zhang e la lista dei “fedelissimi”
Nella rescissione consensuale firmata ieri con l’Inter, è stato concordato un patto di non belligeranza sul mercato: niente assalti arabi ai big nerazzurri. Ma secondo indiscrezioni vicine all’Al Hilal, Inzaghi avrebbe chiesto Bastoni (rifiutato), Barella (altro no) e Acerbi. Nessuno lo seguirà. Eppure le facce viste a Monaco, in particolare quella furba di Barella alla domanda sul futuro del tecnico, ora dicono più di tante parole.
La gestione del silenzio (e il sospetto del danno)
La figuraccia contro il PSG – un 5-0 senza appello – ha riaperto una domanda scomoda: possibile che le certezze sull’addio imminente dell’allenatore abbiano deconcentrato la squadra? La risposta ufficiale non c’è. Ma la sensazione sì. Forse volevano tutti chiudere in bellezza il ciclo Inzaghi. O forse sono stati travolti da un avversario più forte. Resta il sospetto che qualcosa si sia rotto prima ancora del fischio d’inizio.
Le frasi ambigue di Inzaghi
“Ho offerte dall’Arabia e non solo, ma pensiamo solo alla finale”, diceva Inzaghi al media day. Secondo fonti arabe, però, il giorno prima della finale aveva già incontrato gli emissari dell’Al Hilal. Prima o dopo aver detto “all’Inter sto bene”? Non è chiaro. Ma tutto suona stonato. L’Inter si è giocata l’atto finale con un allenatore a mezzo servizio e una squadra confusa. “Uniti”, il mantra dell’era Inzaghi, si è svuotato all’improvviso.
Ora l’Arabia lo aspetta. Ma il modo in cui ha lasciato Milano, resterà inciso come un’occasione persa. E una lezione amara per tutti.