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Omicidio di Garlasco, la Procura riapre tutto: nuova ricostruzione su orario, impronta e dinamica. Il killer si lavò davvero? E quei capelli mai repertati…

Una riscrittura completa. È quella che la Procura di Pavia sta conducendo sull’omicidio di Chiara Poggi, a distanza di quasi 17 anni da quel 13 agosto 2007. Non un semplice approfondimento, ma un riesame profondo e sistematico, che punta a mettere in discussione certezze acquisite in sede giudiziaria. Il lavoro dei magistrati, coordinati da Fabio Napoleone, parte da una premessa: se si rimuove Alberto Stasi dalla scena del crimine — come ipotizzano le attuali indagini — allora crolla anche parte dell’impalcatura costruita dai processi, a partire dall’orario dell’aggressione e dalla sequenza degli eventi.

Il nodo dell’orario: e se Chiara fosse stata uccisa più tardi?

Per anni, le sentenze hanno fissato l’orario della morte tra le 9:12 (disattivazione dell’allarme) e le 9:35, fascia compatibile con l’assenza di Stasi al computer. Ma se l’ex fidanzato non fosse stato l’assassino, quella finestra temporale potrebbe allargarsi fino alle 9:46, orario in cui Chiara non risponde a uno “squillo” ricevuto proprio da Stasi. Un margine di 34 minuti che apre nuovi scenari, su cui i consulenti incaricati dai pm — carabinieri del Nucleo investigativo e tecnici esterni — stanno lavorando per riscrivere la scena del crimine.

Quel lavabo e i capelli dimenticati: davvero il killer si lavò?

Un altro tassello è il presunto lavaggio del killer, confermato dalle sentenze fino in Cassazione. Stasi, secondo i giudici, si sarebbe lavato le mani sporche di sangue nel lavandino del piano terra, pulendo accuratamente anche il dispenser del sapone, su cui avrebbe lasciato l’“innaturale” impronta di due anulari. Eppure, non furono trovate tracce ematiche nella vasca, nel sifone, né sulla maniglia. Inoltre, sul dispenser c’erano incrostazioni di sapone e DNA misto di Chiara e dei familiari, segno di un oggetto non lavato di recente.

Adesso però, i carabinieri rivalutano un dettaglio ignorato: una foto dei Ris mostra chiaramente quattro capelli neri lunghi nel lavandino. Se il killer lo avesse ripulito così bene da rimuovere ogni traccia di sangue, com’è possibile che quei capelli fossero ancora lì? Non vennero mai repertati. L’ipotesi alternativa è che l’assassino si sia semplicemente specchiato. Lo confermerebbe anche un’impronta sul tappeto davanti al lavabo. In più, sulla porta d’ingresso — lato interno — c’è ancora un’impronta insanguinata senza attribuzione. Potrebbe essere del killer in fuga.

La dinamica dell’aggressione: due armi o due fasi?

Le sentenze descrivono un’aggressione in due tempi: un primo colpo ai piedi della scala che avrebbe fatto perdere conoscenza a Chiara, e poi un secondo atto con la caduta lungo i gradini, responsabile delle lesioni letali. Ma gli inquirenti vogliono capire se il sangue trovato sulle scale sia compatibile con una diversa dinamica, magari con colpi inferti durante la caduta o con l’uso di più armi. Un dettaglio inquietante: sui gradini non ci sono altre impronte, come se l’aggressore non fosse mai salito.

L’impronta 33 e le scarpe del killer

Tra i nuovi elementi al vaglio c’è l’impronta della scarpa numero 33 che i magistrati associano ad Andrea Sempio. L’ipotesi è che sia stata lasciata mentre l’assassino si sporgeva verso il fondo della scala. Intanto i legali di Stasi, Giada Bocellari e Antonio De Rensis, hanno depositato una consulenza che rimette in discussione le caratteristiche della famosa suola “a pallini”. Secondo la perizia, non è detto che fosse un 42, come sostenuto nei processi: potrebbe appartenere anche a un 41 o 43, in base alla pressione esercitata, al tipo di camminata e alla distribuzione del peso.

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