Il Barcellona sogna il triplete. La squadra di Xavi ha già messo in bacheca la Coppa del Re, guida la Liga e ha ancora aperta la porta della Champions League, dopo il 3-3 spettacolare contro l’Inter nella semifinale d’andata. In questo contesto di entusiasmo e pressione altissima, due nomi stanno calamitando l’attenzione: quello di Raphinha, protagonista di una stagione eccellente, e soprattutto quello di Lamine Yamal, la giovanissima stella blaugrana che – per età e talento – sembra già proiettato verso una carriera leggendaria.
Polemica su Yamal
Ma come spesso accade nel calcio, l’esposizione mediatica si porta dietro anche malizie, sospetti e insinuazioni. E l’ultima polemica arriva da un dettaglio apparentemente innocuo: le bende che diversi giocatori del Barcellona indossano ai polsi. Un’abitudine diffusa e visibile, soprattutto tra i titolari, che però è diventata oggetto di un attacco frontale da parte di Niko Mihic, ex responsabile dei servizi medici del Real Madrid. Intervistato da un’emittente spagnola, Mihic ha sganciato una bomba che ha fatto il giro del mondo: “Perché indossano bende ai polsi quelli del Barcellona? Non è una moda, non credo alle mode passeggere. Ma se vuoi un accesso venoso più facile, usi i polsi”.
Una frase velenosa, detta con malizia chirurgica. Mihic ha poi provato a smorzare il tono con una battuta surreale: “Potrebbe darsi che stiano progettando giochi di strategia, giocando molto a calcio balilla e prendendosi la tendinite”. Ma la frittata era fatta.
Le parole dell’ex medico del Real sono state interpretate come un’allusione esplicita al doping. E a Barcellona, dove l’umore è euforico ma anche fragile per via della tensione da risultato, la reazione non si è fatta attendere. Dopo il match contro l’Inter, alcuni giocatori hanno risposto indirettamente, senza cedere alla provocazione ma rivendicando la trasparenza del loro comportamento. Anche Yamal, autore di un gol bellissimo contro i nerazzurri, ha preferito parlare in campo.
Per mettere ordine nella polemica è intervenuto Andrea Bernetti, segretario generale della Simfer (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa), che all’Adnkronos ha spiegato che “senza prove non si possono lanciare accuse gratuite” e ha fornito una lettura molto diversa, basata su dati scientifici. “Una delle motivazioni più diffuse è legata alla scaramanzia. Alcuni giocatori, dopo aver indossato bende in occasione di un infortunio e aver vissuto prestazioni positive, decidono di continuare a portarle anche dopo la guarigione. Diventano una sorta di portafortuna”, ha detto Bernetti.
NON SOLO LUI
E non si tratta di un caso isolato. “Basti pensare a Daniele De Rossi, che per un certo periodo ha giocato con una manica lunga e una corta per ragioni scaramantiche”, ha ricordato il medico. “Oppure ai riti pre-partita di Rafa Nadal, noti a tutti nel mondo del tennis”. Ma il punto è che, in alcuni casi, quella che sembra solo una superstizione può diventare uno strumento efficace: l’effetto placebo.
“Da un punto di vista scientifico – ha spiegato Bernetti – l’effetto placebo è stato ampiamente studiato. Si tratta del miglioramento delle prestazioni fisiche o del benessere percepito dovuto alla convinzione che un determinato trattamento, anche se privo di efficacia reale, possa portare beneficio. In ambito sportivo questo può tradursi in maggiore motivazione, riduzione dello stress, miglior controllo emotivo”.
Il meccanismo è neurofisiologico. “L’effetto placebo si manifesta attraverso diversi meccanismi, tra cui il rilascio di neurotrasmettitori che agiscono sul sistema nervoso centrale. Questo migliora l’umore, riduce la percezione del dolore, aumenta la motivazione. La convinzione soggettiva di essere più protetti o performanti può innescare la produzione di endorfine, migliorare l’attività muscolare, ridurre la fatica e aumentare la resistenza”. In sintesi: le bende potrebbero avere zero funzione medica, ma un’enorme utilità mentale. Una protezione simbolica che diventa reale attraverso il cervello. E se così fosse, Mihic avrebbe non solo sbagliato mira, ma anche clamorosamente sottovalutato quanto oggi il confine tra scienza e mentalità nello sport sia più sottile che mai.