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Siamo stufi: questa violenza non è più tollerabile: ecco le misure di Piantedosi. E quei tre “studenti” fermati al Concertone non sono un caso isolato

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha chiesto “il nullaosta al magistrato per l’espulsione” dei tre cittadini stranieri, tra i 22 e i 25 anni, arrestati durante il Concerto del Primo Maggio a Roma con l’accusa di violenza sessuale. Sono arrivati in Italia con un permesso per studio. Hanno partecipato a un evento di massa. E hanno rovinato la giornata a una ragazza, trasformandola in un incubo.

“Ancora una volta – prosegue Piantedosi – meritano ammirazione e ringraziamento le donne e gli uomini delle Forze dell’ordine che, nella circostanza, in servizio in borghese tra la folla (come spesso fanno in servizi attenti, discreti e capillari, non sempre compresi per la loro importanza e spesso ingiustamente fraintesi) sono prontamente intervenuti nell’indifferenza di alcuni presenti salvando la vittima e assicurando gli aggressori alla giustizia”. E aggiunge: “Un’azione tempestiva che testimonia la grande efficacia, prontezza e professionalità delle donne e degli uomini in divisa, impegnati quotidianamente a tutela della sicurezza di tutti e per affermare nei fatti quei valori di democrazia che sono a fondamento del nostro vivere civile”.

Molestata una ragazza da tre tunisini

Secondo il racconto fornito dalla vittima, i tre l’hanno accerchiata approfittando della calca e l’hanno molestata. “Sono stati pochi minuti che mi sono sembrati una vita. Ero pietrificata e non riuscivo a difendermi. Se non fosse intervenuta la mia amica non so come sarebbe andata a finire”, ha raccontato la 25enne, partita da Caserta con un’amica per godersi il concerto a Roma.

E invece si è trovata stretta tra tre uomini, palpeggiata da sconosciuti. “Siamo due studentesse lavoratrici e quello per noi era l’unico giorno libero, poi rovinato da persone terribili”, ha detto. E poi il dettaglio più tremendo: “A sei anni sono stata violentata e ripercorrere quei momenti è stato un dolore indescrivibile. Uno di loro era davanti a me, gli altri due dietro. Si alternavano, mi toccavano ovunque mentre io ero pietrificata. Non riuscivo a dire e fare nulla. È stato sconvolgente perché mi ha fatto tornare a quando ero piccola. Un trauma per il quale vado in cura da anni. Puzzavano di alcool e avevano un’aria spavalda”.

Difficile restare impassibili di fronte a parole del genere. Eppure, tre ragazzi con regolare permesso di soggiorno sono riusciti a entrare, aggredire, terrorizzare e poi negare tutto. Ma intanto una ragazza dovrà curare ferite antiche riaperte da un’aggressione che non avrebbe mai dovuto verificarsi.

“Ogni volta che vado a ballare succede sempre la stessa cosa. Prima stavo zitta, ma ora basta”, ha detto ancora. E poi, la frase più potente di tutte: “La mia amica mi ha detto di andare a ballare domani, per superare il trauma, e ci andrò. Non possono mangiare la mia vita, sono io che devo mangiare la mia vita”.

Questa vicenda deve aprire gli occhi. Perché la rabbia non è ideologica. È reale. E nasce ogni volta che chi viene accolto non rispetta le regole. Ogni volta che la protezione promessa alle donne diventa una dichiarazione vuota. Ogni volta che la violenza si ripete. E noi, semplicemente, siamo stanchi.

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