C’è chi dice che la storia non si ripete, ma rima. Putin, invece, la storicizza in blocco, la impacchetta e la rilancia come un colosso del marketing post-sovietico. Il 29 aprile ha ribattezzato l’aeroporto di Volgograd: da oggi si chiama Stalingrad. Non una nostalgia qualunque, ma un’operazione chirurgica sul subconscio collettivo: un rebranding ideologico camuffato da tributo.
Questa non è politica, è wrestling culturale. Un colpo spettacolare, con tanto di ingresso scenico e pubblico chiamato a tifare. Ma sotto il ring illuminato, c’è la lotta brutale per il possesso della memoria storica. Stalin non torna come leader, ma come icona: spogliato (apparentemente) dei gulag, rivestito di gloria bellica. Non è il dittatore, è il testimonial di una Russia che combatte — ieri il nazismo, oggi “i nazisti” in Ucraina.
Putin è maestro in questa tecnica: trasformare il passato in gadget emotivo. Lo fa ogni anno il 9 maggio, parata della Vittoria e lacrime ben distribuite. Ma stavolta ha piazzato il colpo grosso: uno snodo fisico della Russia — un aeroporto — diventa portale simbolico verso un tempo mitizzato. E il messaggio è chiaro: volare a Stalingrad significa atterrare nel racconto che lui vuole tu viva.
Il presidente dice che il nome completo della città tornerà solo se lo decideranno i cittadini. Intanto però il biglietto aereo è già intestato a un’altra epoca. È come se avesse messo un filtro Instagram sulla geografia: lo chiami come vuoi, ma la tua memoria lo riconosce — ed è lì che lui vuole colpire.
Questa mossa non riabilita solo Stalin. Riabilita un’intera estetica autoritaria, con la scusa dell’orgoglio nazionale. È soft power, ma con i carrarmati nei paraggi. E se i cittadini russi oggi applaudono, non è detto che lo facciano solo per convinzione. Forse lo fanno perché non possono più fischiare.
Nel wrestling della memoria collettiva, Putin si mette la maschera da eroe patriottico. Ma sotto, resta sempre lo stesso lottatore: uno che gioca con i simboli per restare sul ring del potere. Stalin, oggi, non è un leader. È un brand. E il suo volto, stampato sulla pista d’atterraggio, serve a ricordarti chi pilota l’aereo.